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Detenuta lancia i figli dalle scale: morta la piccola, gravissimo il fratellino

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Detenuta lancia i figli dalle scale: morto la piccola, gravissimo il fratellino

“Detenuta lancia figli dalle scale”. Quando arriva la notizia sembra falsa da tanto folle. Un triste primato: è la prima volta che accade in Italia un fatto del genere.
Dei due figli, angeli ignari e innocenti di un dramma che non li riguardava, una è morta mentre l’altro è gravissimo.
Il fatto è accaduto ieri, martedì 18 settembre, a Rebibbia, nella sezione nido.

La detenuta, nella lucida follia del suo piano, ha aspettato che le altre detenute si mettessero in fila per il pranzo, poi si è avvicinata alle scale della sezione nido del carcere romano di Rebibbia e ha scaraventato giù dalla tromba delle scale i suoi due figli: la bimba di 6 mesi è morta sul colpo, il maschietto di poco più di due anni è in prognosi riservata all’ospedale Bambino Gesù.

A compiere il gesto – è la prima volta in un carcere italiano che una mamma uccide i suoi figli – è stata una tedesca di 31 anni, reclusa nel carcere romano dal 27 aprile per spaccio di sostanze stupefacenti.

Il dramma ancora una volta fa alzare la voce ad un coro bipartisan che chiede di lasciare fuori i bambini dal carcere.

Intanto la Procura e il ministero della Giustizia hanno aperto le inchieste per ricostruire i contorni della tragedia ed accertarne le eventuali responsabilità.

La donna, sembra, fosse già stata sottoposta in passato a un controllo medico dopo alcune segnalazioni e, a quanto si è appreso da fonti interne al carcere, l’area sanitaria era stata informata di alcuni disagi psichici che avrebbe manifestato. Su questo aspetto ci sarebbero relazioni scritte, in particolare da parte degli agenti della polizia penitenziaria.

Ieri l’epilogo di un disagio che forse nessuno aveva compreso fino in fondo: in concomitanza con la pausa pranzo avrebbe preso i bambini, la più piccola in braccio e l’altro nel passeggino, e li avrebbe scaraventati una nella tromba delle scale e l’altro giù per i gradini.

Per la più piccola non c’è stato niente da fare, è morta sul colpo, il colpo è stato troppo violento; l’altro, di quasi due anni, versa in condizioni critiche all’ospedale Bambino Gesù dove è stato portato in codice rosso: ha un grave trauma da caduta con danno cerebrale severo.

Il bambino, ricoverato in rianimazione, è stato sottoposto a ventilazione meccanica. Per lui nelle prossime ore è previsto un intervento neurochirurgico.

Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, con il capo del Dap Francesco Basentini, appresa la notizia è andato prima a Rebibbia poi in ospedale.

La tragedia, consumata poco prima che la donna avesse un colloquio con i propri familiari, riporta con forza il tema dei bambini in carcere: “Senza speculare su una tragedia del genere, il punto è che va rivista la legge: i bambini non devono stare in carcere. Non ci sono scuse; anche il Papa ha manifestato la stessa convinzione”, afferma il presidente della Consulta penitenziaria Lillo Di Mauro e responsabile della ‘Casa di Leda’, la prima casa protetta istituita in Italia per ospitare le mamme detenute con i loro bambini.

Sulla stessa linea Mara Carfagna, vice presidente della Camera e deputato di Forza Italia: “La tragedia di Rebibbia ci ricorda il dramma dei tanti, troppi, bambini che crescono e vivono dietro le sbarre senza aver commesso alcun reato, da innocenti. Forza Italia chiederà conto del ritardo accumulato negli anni e pretenderà che nella legge di Bilancio vengano stanziate le risorse necessarie perché tutti i bambini attualmente in carcere possano avere un’infanzia”.

Così pensano anche Renata Polverini (Forza Italia), Aldo Di Giacomo, segretario dell’Spp (Sindacato Polizia Penitenziaria), “tenere i bambini in prigione è una tortura”, la radicale Rita Bernardini e la consigliera regionale del Pd Michela Di Biase.

Mario Nascimbeni

(foto di repertorio)

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  1. Eppure c’è, esiste una umanità che si occupa, si preoccupa delle vite ‘ultime’, che prima del giudizio affrontano la fragilità di quanti, quante devono rispondere con la pena ad atti e violazioni che li ha trasformati in reclusi.
    Proviamo a pensare a quelle giovani donne che si trovano in carcere con uno o più bambini piccoli da accudire, bambini che credono che la lampadina delle scale sia la luna, abituati come sono a vivere dentro le mura carcerarie.
    Cosa succede a quelle madri che già si sentono colpevoli e che non sanno da che parte ricominciare ad attrezzare la loro vita? Può succedere che impazziscano, che perdano l’autocontrollo, fino a manifestare gesti folli e orribili che colpiscono proprio chi amano di più.
    I bambini, lo dicono tutti a parole, non devono stare in carcere, ma nei fatti, pochi se ne occupano. Si muovono comunità intere di fronte a un pugno di immigrati che non si vuole ospitare, ma le piazze non si riempiono per dire l’indignazione verso una società che ignora, non è capace, non vuole, non sa, non ce la fa, non ha tempo di occuparsi anche di loro, piccoli esseri già colpiti dalla vita, prima ancor di poter parlare e camminare.
    Eppure qualche tentativo di recupero di civiltà c’è stato nel nostro Paese, penso all’Icam di Milano in centro città, non dentro il carcere, con custodia di agenti e educatori, senza sbarre e senza divisa. I piccoli frequentavano il nido, le materne pubbliche, e altre città hanno preso spunto da quella esperienza. Ma è ancora troppo poco, non basta.Forse sarebbe utile interrogarsi e chiederci, ma queste tragedie ci importano? Se ci importassero davvero non ci sarebbe tanta colpevole indifferenza.
    Capisco che una umanità’ in tutt’altre faccende affaccendata’ non abbia tempo per gli ultimi, se hanno commesso errori, poi, sia mai. nessuna pietà. Del resto i bambini insieme ai vecchi sono all’ultimo posto della graduatoria di questa italiana e anomala civiltà. A margine: abbiamo voglia di parlarne, di scoprire la nostra parte oscura?

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