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Coronavirus: record di casi. Medici Anaao: posti letto già occupati al 50% da molte parti

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Medico di Venezia che ha combattuto il virus non è già più un "angelo". Così apostrofato: "Chissà che morì tutti co el virus"

Coronavirus: record di casi positivi. Non siamo ai livelli del 19 marzo, giorno più buio della nostra storia ma oggi è il giorno in cui tutti sono più preoccupati dal post-lockdown. Un dato su tutti il rapporto contagiati/tamponi si è ridotto al 4,8% dal 30,8%.

E’ oggi il giorno del record di positivi in 24 ore in Italia dall’inizio dell’epidemia da Covid-19. Il rapporto contagiati/tamponi è, considerando i primi dieci giorni per aumento dei contagi in 24 ore, peggiore solo del 9 ottobre (4,1%) sulla base del numero dei positivi risultati rispetto a quello dei test effettuati.
Come mostra la tabella qui sotto, se oggi sono stati riscontrati 7.332 positivi dipende soprattutto dal numero di tamponi effettuati, 152.196, anche questo un record per l’Italia dall’inizio della pandemia; mentre il 19 marzo i nuovi casi sono stati 5.322 su appena 17.236 tamponi, il 30,8% appunto. Non paragonabile anche il numero dei morti

(così come dei ricoveri in generale e di quelli in terapia intensiva in particolare): il giorno più nero, infatti, è stato il 27 marzo, con 969 vittime contro le 41 di oggi e le 427 del 19 marzo.

Dati dell’epidemia, primi 10 aumenti in un giorno
contagi tamponi positivi/tamponi vittime
14 ottobre 7.332* 152.196* 4,8% 43
21 marzo 6.557 26.336 25% 793
26 marzo 6.153 36.615 17% 662
20 marzo 5.986 24.109 25% 627
28 marzo 5.974 35.447 16,8% 889
27 marzo 5.959 33.019 18% 969*
13 ottobre 5.901 112.544 5,2% 41
22 marzo 5.560 25.180 22% 651
11 ottobre 5.456 104.658 5,2% 26
9 ottobre 5.372 129.471 4,1% 28
19 marzo 5.322 17.236 30,8%* 427

La preoccupazione di Conte
Il record dei contagi dall’inizio dell’emergenza piomba sul tavolo del governo e costringe il premier Giuseppe Conte e i ministri a prendere in seria considerazione la possibilità di un’ulteriore stretta, che prevederebbe inevitabilmente zone rosse localizzate ma anche lockdown settoriali e a tempo, sulla scia di quel che già sta avvenendo in altri paesi europei.
L’obiettivo primario è però quello di resistere almeno un paio di settimane e attendere gli effetti del Dpcm entrato in vigore oggi, considerata anche la possibilità che il decreto assegna alle Regioni di poter introdurre autonomamente misure

più restrittive di quelle indicate a livello nazionale.
Nei ministeri e sul tavolo del Cts si comincia però a fare i conti con la possibilità che a questo punto nessuna misura può essere esclusa.
“Nessun allarme, nessun terrore, ma è evidente che l’aumento dei contagi ci preoccupa, il virus corre veloce” dice il ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia sottolineando però che “le reti sanitarie territoriali” stanno tenendo.
Lo stesso presidente del Consiglio, per la prima volta da settimane, a domanda specifica non esclude esplicitamente il provvedimento più drastico, il lockdown – anche se si farà di tutto per non arrivarci. A partire dai trasporti pubblici, strettamente connessi alla scuola. Dalla riunione al Mit tra il ministro dei Trasporti Paola De Micheli, regioni, comuni e società che gestiscono il Tpl è arrivata la disponibilità ad affrontare le situazioni più critiche anche se è stata confermata la soglia della capienza massima all’80%.

Questo perché, sottolinea il ministero, i dati dell’ultimo periodo dicono che l’utilizzo da parte degli studenti si attesta ad una media del 55% della capacità consentita. Anche la scuola è e resta, assieme al lavoro, la priorità del governo. Per la didattica in presenza anche oggi si sono spesi diversi ministri: Teresa Bellanova, Paola De Micheli, la stessa Lucia Azzolina. Se l’idea di qualcuno è chiuderle e lasciare tutti a casa

– dice la ministra dell’Istruzione – la risposta è no”.
Diverse regioni premono invece in questo senso e il problema è concreto tanto che anche oggi al Mit si è ridiscussa la possibilità di un ulteriore scaglionamento degli ingressi degli studenti in modo da decongestionare bus e metropolitane. Su questo però si è alzata la voce dei presidi, secondo i quali dilazionare ulteriormente entrate e uscite “è impossibile”. Strada quasi senza uscita. Si torna dunque al punto di partenza.

Se la curva continua a salire a questo ritmo, nel giro di meno di una settimana sarà superato il muro dei diecimila casi al giorno. “Oggi ci sono numeri seri, prima c’erano dei cluster che si isolavano, ora la diffusione è più diffusa” ammette il leader del Pd Nicola Zingaretti ribadendo l’invito ai cittadini già fatto da Conte: “dobbiamo stare attenti, ammettere che il vero rischio è tra gli amici e in famiglia e rispettare le regole di base”. Che fare, dunque? La riflessione che in questo momento si sta facendo, sottolineano fonti dell’esecutivo, è di continuare a monitorare con attenzione i dati su ricoveri e terapie intensive. Perché è quello il cul de sac: “non abbiamo la sostenibilità sanitaria della Germania, soprattutto al sud. E dobbiamo anche tenere conto che il personale sanitario è molto stanco- ragiona un membro del Cts – Dunque dobbiamo anticipare problemi e prescrizioni”. Che tradotto significa mettere sul tavolo i possibili interventi.

Nei prossimi giorni ci saranno una serie di incontri, a partire dalla Conferenza Stato-Regioni di giovedì che farà una prima analisi dei numeri, come conferma Boccia. E venerdì arriverà il nuovo monitoraggio del ministero della Salute. Se l’Rt a livello nazionale dovesse superare l’1.25 si entrerebbe nel terzo scenario

ipotizzato dallo studio dell’Iss, che prevede interventi chiari: zone rosse con lockdown temporanei, interruzione di attività sociali e culturali a maggior rischio di assembramento, la possibilità di interrompere alcune attività produttive, possibili restrizioni alla mobilità interregionale, lezioni scaglionate e potenziamento della Dad. Scenari che il governo, per il momento, non vuole prendere in considerazione.

I numeri
È record assoluto di contagi in Italia: in un solo giorno i casi positivi sono aumentati di 7.332. Una cifra simile non era mai stata raggiunta dall’inizio dell’epidemia e, sebbene l’indice del rapporto fra casi positivi e tamponi sia in leggera flessione, la situazione preoccupa molti esperti, al punto che non escluderebbero un Natale 2020 in pieno lockdown, mentre il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, preferisce non fare previsioni e puntare alle misure per evitarlo.

I dati del ministero della Salute indicano che il totale dei casi, compresi vittime e guariti, è salito a 372.799. Il record precedente risale al 21 marzo, con un balzo di 6.557 casi in 24 ore. Sempre in marzo, in particolare dal 19 al 29, per ben otto volte era stato superato il picco di 5.000 casi. Tuttavia allora la situazione generale era molto diversa, a partire dal numero dei tamponi: 26.336 allora contro i 152.196 di oggi, anche questo un record dall’inizio dell’emergenza. Un’altra grande differenza è nel numero dei casi asintomatici, oggi rilevati grazie allo screening. Le vittime sono 43, due più di ieri, e portano il totale dall’inizio dell’emergenza a 36.289. Cresce anche il numero degli attualmente positivi: secondo i dati

del ministero della Salute ad oggi sono 92.445, con un incremento rispetto a martedì di 5.252.
In molti reparti Covid si è già oltre il 50% posti occupati, secondo il sindacato dei medici dirigenti Anaao Assomed mentre il 118 registra il +15% di richieste per problemi respiratori. Che la curva epidemia stia proseguendo la sua salita è certo, come ha rilevato anche Conte: “Continua questa curva – ha detto oggi alla stampa – che sta lentamente ma progressivamente crescendo, è la ragione per cui abbiamo adottato misure più restrittive: non ci ha fatto affatto piacere ma dobbiamo adesso rispettare le regole più restrittive”.

Quanto all’eventualità di un lockdown a Natale, il presidente del Consiglio ha detto: “Io non faccio previsioni per Natale, io faccio previsioni in questo momento delle misure più adeguate idonee e sostenibili per prevenire un lockdown ma è chiaro che molto dipenderà dal comportamento” dei cittadini. A parlare dell’eventualità di una chiusura per Natale era stato l’infettivologo Andrea Crisanti, dell’Università di Padova: “Credo che un lockdown a Natale sia nell’ordine delle cose: si potrebbe resettare il sistema, abbassare la trasmissione del virus e aumentare il contact tracing. Così come siamo il sistema è saturo”.

Secondo l’esperto “più che misure sui comportamenti occorre bloccare il virus: tra 15 giorni non vorrei

trovarmi a discutere sui 10-12mila casi al giorno”.
Più possibilista Massimo Galli, responsabile Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano: “Per cercare di avere un felice Natale dobbiamo cercare di superare questa fase invertendo la tendenza”. D’altro canto, ha aggiunto, “siamo a metà ottobre e il Natale è a poco più di due mesi. Rischiamo di romperci la testa ma non l’abbiamo ancora rotta. Lavoriamo a rendere le cose a nostro favore”.

Che la curva continui a salire lo indicano anche le previsioni statistiche, che prevedono un totale di quasi 116.000 casi per il 7 novembre e disegnano una curva in decisa ascesa, della quale non si vede il picco. “In altre parole, la curva descrive la seconda ondata pandemica e indica che questa potrebbe essere agli inizi”, ha detto all’ANSA Livio Fenga, dell’Istat, che a titolo personale ha elaborato il modello innovativo che prevede l’andamento dell’epidemia in Italia. Il modello, basato sui dati attuali diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss) e i cui risultati sono in via di sottomissione alla rivista Annals of applied statistics, indica che per il 7 novembre i casi positivi potrebbero arrivare a 115.854. Il modello indica “un incremento non lineare”, ha detto Fenga. “Considerando la situazione globale dell’Italia, non ci sono segnali che la curva scenda, mentre a livello regionale – ha rilevato il ricercatore – alcune regioni del Nord mostrano segnali di attenuazione nella diffusione del virus”, come Lombardia, Liguria e province autonome di Trento e Bolzano. Si rileva invece un’ascesa rapida in molte regioni del Sud, come Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. “Se i numeri sono questi – ha rilevato Fenga – non è inverosimile pensare a un lockdown, almeno localizzato per le regioni più esposte”.

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