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Complotto per far cadere Berlusconi, Napolitano: ‘Anche lui disse va bene Monti’

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Complotto per far cadere Berlusconi, Napolitano

Le dimissioni di Silvio Berlusconi, rassegnate a novembre 2011, furono «liberamente e responsabilmente rassegnate» e, soprattutto, «non vennero motivate se non in riferimento a eventi politico-parlamentari italiani».
Nel complotto per far cadere Berlusconi, Napolitano non c’entra nulla. Il libro di memorie dell’ex segretario del Tesoro americano, Timothy Geithner, sta scatenando un putiferio perchè spiega che due anni e mezzo fa alcuni «officials» (parola vaga, riferibile a funzionari o ad alti burocrati o perfino a esponenti di governo) dell’Unione Europea tentarono di cooptare la Casa Bianca — che peraltro rifiutò — in una vasta trama per costringere il premier italiano «a cedere il potere».

E nel complotto per far cadere Berlusconi, Napolitano è chiamato in causa con ripetuti strattonamenti nella pretesa (più o meno esplicitamente suggerita agli elettori) che sia stato parte attiva o addirittura il regista della manovra per spodestare il Cavaliere.
Berlusconi, d’altra parte, è in piena campagna elettorale e la teoria del golpe è sempre stata un suo pallino. Stavolta la conferma arriva addirittura dall’amministrazione Usa.

Il capo dello Stato ha voluto chiudere la questione con una nota scritta di proprio pugno nella quale ristabilisce la sequenza di quella travagliatissima crisi.
Napolitano ricorda che della crisi parlò il 20 dicembre 2011, durante l’incontro con le alte cariche dello Stato convocate sul Colle per gli auguri di Natale e con il governo Monti insediato da appena qualche settimana. Ricostruì, e senza obiezioni di sorta, «il clima aspramente divisivo radicatosi nei rapporti politici» e accennò a come «la sostenibilità anche internazionale di quello stato di cose era giunta a un punto limite», aggravando «i problemi di fondo del Paese», acutizzati dai continui collassi dell’economia. Uno scenario disastrato, con una maggioranza spappolata, nel quale a lui «toccava solo registrare e seguire imparzialmente le reazioni delle forze in campo». E così fece, «fino a quando Berlusconi, prendendo atto di una situazione così critica, dopo l’esito negativo di una votazione significativa in Parlamento, si risolse, con senso di responsabilità, a rassegnare le dimissioni». Il via libera all’esecutivo tecnico che lo sostituì, per inciso, ebbe l’avallo dello stesso Cavaliere. E, precisò allora Napolitano, senza che «nulla fosse scalfito»: senza «nessuna forzatura, né tantomeno alcuno strappo al nostro ordinamento costituzionale».

C’era poi il «contesto europeo», a cui Napolitano si opponeva ogni volta in cui era necessario. Si vada a vedere, per esempio, il suo commento del 25 ottobre 2011 alle «inopportune e sgradevoli espressioni pubbliche» e di «scarsa fiducia nei confronti degli impegni assunti dal nostro Paese», aggiungendo eloquentemente che «nessuno può pretendere di avanzare pretese da commissario… da 60 anni accettiamo limitazioni di sovranità, ma in condizioni di parità con gli altri Stati». Un ammonimento che volle fare quando la Merkel e Sarkozy, nel pieno di un vertice internazionale, replicarono con sgradevoli risolini alle domande dei cronisti sull’affidabilità del premier italiano.

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