Delle piccole gocce di sangue avrebbero svelato una una inquietante verità. E’ stato don Piccoli l’omicida, colui che ha strangolato don Giuseppe Rocco, tre anni fa, che viveva con lui nel seminario di via Besenghi a Trieste, suo vicino di stanza e pareva, suo grande amico?
Don Piccoli, che in un primo momento era risultato solo un testimone dei fatti, si diceva, per rapina di terzi, ecco che viene incriminato dal pm Matteo Tripani per omicidio volontario. Quindi don Piccoli rischia ora trent’anni di carcere, se il processo di primo grado accerterà i sospetti e se lo giudicherà colpevole davanti alla Corte d’Assise di Trieste.
Tutto è partito proprio quando don Piccoli era a Verona, per partecipare al funerale dell’imprenditore Renato Nicolis. La notizia lo ha raggiunto a sorpresa e il prete sa che dovrà spiegare tante cose davanti alla Corte.
Dovrà dire se ha ammazzato quel prete di novantadue anni, perché gli ha strappato la collanina d’oro. Dovrà spiegare come mai siano state trovate delle piccole macchie di sangue compatibili con il suo, sul corpo dell’anziano prete e come poco convincano le sue spiegazioni postume.
Dice di soffrire di dermatite acuta che provoca fuoriuscite di sangue che potrebbero aver interessato le dita delle mani e che quindi le tracce ematiche riscontrate sul corpo del prete, potrebbero essere state trasmesse durante l’estrema unzione.
Tutto chiaro, sembrava, fino a quando l’autopsia ha rilevato che l’anziano sacerdote è stato strangolato: una diagnosi illuminante che sarà il filo conduttore del processo, che ora svolta verso l’essere a carico di don Piccoli.
Andreina Corso