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Cinema Italia, l’attuale utilizzo svilisce quell’attività originaria

Lettere al Giornale.

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Supermercato nell'ex Cinema Italia, Despar raddoppia

Venezia continua – come noto – a perdere inesorabilmente abitanti, centri direzionali, uffici e quelle attività più consone e tradizionali quali l’artigianato e il piccolo commercio. Attività che vivificavano e “coloravano” la città, dando servizi e arricchendone il tessuto sociale.

Botteghe-officine, con affascinanti strumenti di lavoro tramandati nel tempo, che custodivano sapere e tradizione; mestieri che scompaiono ma che avrebbero ancora significato in una città come la nostra. Al loro posto – pure questo tristemente noto – discutibili, anche nell’impatto visivo e sonoro, negozi di souvenir, di dubbia qualità e provenienza. E tanti, tanti bar e ristoranti – dal plateatico sempre più invadente – e problematici take-away. E affittacamere, b&b (anche abusivi) e alberghi che aumentano di continuo, con cambi d’uso che penalizzano gravemente la residenzialita’. Realtà legate tra loro nella perversa logica dellla monocoltura turistica (e affaristica) che ormai impera, a scapito anche della vivibilità stessa della città oltre che della sua fragilità fisica.

In questa logica anche l’apertura di nuovi supermercati, che peraltro penalizzano pesantemente i residui negozi di vicinato. Nella conferenza stampa post apertura di un Despar nell’ex teatro cinema Italia, l’amministratore delegato della società di gestione si è dichiarato pronto ad insediarne di nuovi in altri edifici storici (un Despar è’ stato recentemente aperto anche a pianoterra di Palazzo Bembo). Proprietà e progettista hanno magnificato l’intervento di restauro ma va sottolineato che sia un primo che un secondo progetto sono stati sostanzialmente bocciati dal Ministero dei beni culturali in quanto pesantemente lesivi delle preziose decorazioni interne e della stessa spazialità ed hanno dovuto ottemperare a ristrettive prescrizioni.

Certo il monumentale ambiente che si apre alla vista di chi passa, liberato oltretutto dalle bancarelle antistanti (miracolo!), non può che invogliare la visita e anche l’acquisto, con sicuri profitti. Non è propriamente la stessa cosa dell’attività originaria, come giustificato abbastanza goffamente nella relazione di restauro (pagare una merce come un tempo si pagava un biglietto).

L’attuale utilizzo svilisce quell’attività originaria, particolarmente interessante (l’edificio fu costruito in piena guerra nel 1916 dal giovane tipografo Giovanni Scarabellin di cui si conservano le iniziali nella facciata) e ne cancella completamente storia e anima. Alternative – ma evidentemente meno allettanti – ce ne potevano essere, in una visione più lungimirante e più vicina al valore del bene, in base anche alla direttiva ministeriale per salvaguardare e valorizzare il patrimonio delle sale cinematografiche di importanza storica: una diversa destinazione d’uso che sapesse coniugare l’interesse privato a quello della città.

Amareggia poi che la proprietà abbia sempre negato qualsivoglia incontro con la cittadinanza che si era mobilitata, anche con una raccolta firme sottoscritta da migliaia di persone, in difesa di quel luogo particolarmente caro.

Cristina Romieri,
Venezia Lido

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