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Scandalo Centro accoglienza: 36 milioni (sui 105 versati dallo Stato per i migranti) nascosti

E' polemica per la foto di Leonardo Sacco, l'uomo che firmava gli appalti, e Alfano. Indicato dall'indagine come responsabile anche parroco della Chiesa di Maria Assunta

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Centro accoglienza: 36 milioni sui 105 versati dallo Stato per i migranti nascosti

Centro di accoglienza migranti di Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto: anche ieri, come il giorno prima, e quello prima ancora, solo 500 profughi sui mille ospitati riuscivano a mangiare. Il resto dei richiedenti asilo rimaneva a digiuno perché il cibo non bastava.

Inoltre, «Erano piatti di qualità pessima, di solito noi quel cibo lo diamo ai maiali», rivela Nicola Gratteri, procuratore distrettuale di Catanzaro che ha coordinato l’inchiesta sulle infiltrazioni delle cosche nel Centro di accoglienza.

I fornitori del Cara, secondo le accuse, risparmiavano sulle forniture per intascare una buona fetta di soldi che arrivavano dalla Comunità europea per sfamare i profughi. Denaro che poi veniva investito per comprare cinema, teatri, appartamenti, macchine di lusso, barche e immobili.

È incredibile lo spaccato che viene fuori dall’inchiesta «Johnny», un lavoro di squadra portato avanti da carabinieri, polizia e guardia di finanza che sta dimostrando come il Cara fosse nelle mani delle cosche mafiose, quasi a confermare che dietro la pietà, l’accoglienza, i malpensanti avessero avuto ragione a pensare ai business sugli arrivi dei migranti.

Per i magistrati Leonardo Sacco è il «colletto bianco» della cosca, quello che stipulava i contratti d’appalto e gestiva le forniture necessarie per mandare avanti il Centro. Imprenditore di successo Sacco aveva ottimi rapporti istituzionali ed era amico di molti politici.

Una foto del 2014 lo ritrae con l’ex ministro dell’Interno Angelino Alfano, presente a una convention di Ncd, a Cosenza, e oggi la foto è diventata un caso. E il Movimento 5 Stelle va all’attacco. Sul suo blog Beppe Grillo scrive: «Migrantopoli è una realtà che deve essere smantellata al più presto».

Dai verbali risulta che il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Isola Capo Rizzuto era diventato il “bancomat” della cosca Arena, che nel piccolo paese sulla costa ionica crotonese ha il suo feudo. Una definizione quella del comandante del Ros Giuseppe Governale che rende bene l’idea di come il clan avesse messo le mani sulle attività di gestione del centro d’accoglienza più grande d’Europa riuscendo, in un decennio, ad impossessarsi di 36 milioni di euro sui 105 stanziati dallo Stato per l’assistenza ai migranti.

Un affare in cui, secondo i magistrati della Dda di Catanzaro, hanno svolto un ruolo da protagonisti il governatore della Fraternita di Misericordia di Isola nonché presidente della Confraternita Interregionale della Calabria e Basilicata, Leonardo Sacco, e don Edoardo Scordio, parroco della Chiesa di Maria Assunta.

Entrambi sono finiti in carcere, insieme ad altre 66 persone, nell’operazione “Jonny” – dal nome di un maresciallo del Ros stroncato da un male incurabile mentre stava indagando – portata a termine all’alba e che ha smantellato la cosca Arena, consorteria storica e potente della ‘ndrangheta.

Un’indagine complessa quella condotta dalle squadre Mobili di Catanzaro e Crotone, dai carabinieri del Ros e del Reparto operativo di Catanzaro e dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria e della Compagnia di Crotone, con i rispettivi Comandi centrali, e coordinata dal procuratore Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Luberto e dai pm Domenico Guarascio e Vincenzo Capomolla.

Sacco, imprenditore legato ad ambienti politici di vari schieramenti – è stato anche vicepresidente nazionale della Misericordia – secondo i magistrati è colui che ha permesso agli Arena di inserirsi nell’affare, consentendo a ditte create ad hoc di aggiudicarsi gli appalti indetti dalla Prefettura, non solo per il Cara di Isola ma anche per quello di Lampedusa. Un
affare in cui gli Arena, comunque, non erano soli.

Anche altre cosche si spartivano i soldi. Tanto che proprio questi finanziamenti sono alla base della pax mafiosa siglata nel 2004 da ‘ndrine che fino a poco prima si combattevano a colpi di
bazooka.

Era soprattutto il servizio catering quello su cui gli Arena lucravano. “Il cibo non bastava per tutti e spesso era quello che solitamente si dà ai maiali”, è stata la sintesi di Gratteri. I pasti, infatti, erano sempre pochi rispetto al bisogno. E la qualità era quello che era.

Questo, unito ad un giro vorticoso di false fatture, ha fatto sì che 36 milioni finissero nelle casse del clan che li ha utilizzati per l’acquisto di beni immobili, partecipazioni societarie e altre forme di investimento. Tanto che, soltanto il Ros, ha sequestrato beni per 70 milioni di euro, tra i quali un ex convento, alberghi e società di viaggio, oltre ad auto di lusso e barche.

In questo contesto, secondo l’accusa, a guadagnarci era anche don Scordio. A lui, nel solo 2007, sono andati 132 mila euro.
Soldi destinati all’acquisto di giornali per i migranti, ma visto che i giornali si deteriorano – era stata la giustificazione – allora meglio destinarli a servizi di assistenza spirituale.

Un sacerdote, don Scordio, noto per le sue prese di posizione contro la violenza, ma che secondo gli inquirenti avrebbe anche avuto la capacità di riciclare denaro in Svizzera grazie al fratello che vi risiede.

Don Scordio, indicato come gestore occulto della Misericordia, sarebbe stato addirittura l’organizzatore del sistema di sfruttamento delle risorse pubbliche destinate all’emergenza profughi, riuscendo ad aggregare le capacità criminali degli Arena e quelle manageriali di Leonardo Sacco.

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(foto credits: Espresso – La Repubblica)

Mario Nascimbeni

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