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Carme a Sorella Venezia, il nuovo libro di Andreina Corso

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. . . Che il cielo puro mandi sul mio viso
– Questo cielo spazzato dalle nuvole lunghe –
Un vento così forte, dall’odore di gioia,
Che tutto nasca, mondato dai sogni!
 
Nasceranno per me le città umane
Che un soffio puro ha pulito la bruma
I tetti, i passi, i gridi, i cento lumi,
E gli umani rumori, quel che il tempo consuma. . .
 
Simone Weil

E’ uscito il nuovo libro di Andreina Corso (Bonaccorso, 11,00 euro) “Carme a Sorella Venezia. Canto dedicato”.

“La presente raccolta esprime, per molti aspetti, la figura e l’opera di Andreina Corso, personalità singolare e rilevante, conosciuta ed apprezzata per il suo impegno umanitario, soprattutto nell’ambito delle case di riposo, degli ospedali psichiatrici e del carcere; parallelamente, ha profuso il suo impegno nella scrittura, pubblicando libri importanti, come Le Madri e collaborando a “La Voce di Venezia”. Ha ottenuto infine prestigiosi riconosci- menti, fra cui il premio Franz Kafka Italia. Nella presente raccolta poetica, il centro mi sembra costituito dalla relazione con Venezia, questa città così preziosa e vulnerabile, preziosa proprio perché vulnerabile; ma quel che c’è di particolare è l’immedesimazione dell’Autrice con la Città, con un radicalismo inusitato, che protende tale immedesimazione verso una specie di panica coincidenza. Da ciò, un’originalità pressoché assoluta, dalla quale si diparte un’ispirazione orientata a valorizzare, con un’aperta polisensorialità, tutti gli stimoli e le sollecitazioni provenienti dai quattro elementi che tessono Venezia: l’acqua, la terra, il cielo e il fuoco…”. Giuseppe Goisis

Carme  a Sorella Venezia, il nuovo libro di Andreina Corso

Questo scritto nasce da un meditato impulso e da pensieri e sentimenti legati alla mia città, a quella Venezia che mi è madre e sorella, a questa città che mi è ora perfino figlia e che voglio, vorrei accudire come può farlo una donna da sola e con l’aggravante di essere anziana. Eppure giovane e innocente è il mio canto e la voce esce riparatrice, medicamento per un dolore antico, pur placebo consapevole della sua inefficacia.

Una voce testarda e fiera di punti e sassi che la meditazione ha conformato, sciolto e poi ancora rimodellato, affinché la parola uscisse matura e non per questo saggia e o pregna di speme, ma pur parola pensata vivendo la sofferenza dell’acqua, dei muri screpolati dal tempo e dal salso, delle case abbandonate al silenzio, delle imposte chiuse, della gente che se n’è andata, dell’anima che è rimasta qui, accucciata ai suoi piedi.

Solo dopo numerose strofe, mi sono chiesta, quale unità ritmica, metrica io abbia adottato nella scrittura. Con sgomento e avverto chi legge, ho constatato che il mio lavoro e la forza traboccante del pensiero, hanno ignorato il Distico, la Terzina, la Quartina, la Sestina, l’Ottava e che la rima non era ed è, regolarmente Baciata, Alternata, Incrociata o Incatenata. Ho capito di essermi scaraventata nella Strofa Libera, dove cioè i versi non sono inquadrati negli schemi tradizionali. La mia strofa è di cinque versi, ho provato e riprovato a modificarla, ma è prevalsa la scelta di un’armonia , di un suono frutto di questa mente, la mia.

E non per orgoglio, per ignavia o arroganza ho mantenuto questo stile dopo un burrascoso ripensamento, una critica rilettura, uno studio dovuto dopo l’umiliazione dello sgarbo letterario, trascurando di dirmi che illuminati poeti che non son degna di nominare, hanno scritto, fin dai tempi antichi strofe di cinque versi e ritmo variabile.

Ho sentito che dovevo assumermi la responsabilità di offrire questo Carme, sì meglio chiamarlo così, volevo nominarlo Diapson, Canto, e forse sarà il primo a precedere Sorella Venezia, cui è dedicato. O forse Carme, sì, Carme. La voglia di invitare a questo banchetto la mia città con il suo corpo e la sua mente, risvegliare le sue parti più fragili e vulnerabili e restituirgliele condivise con questa donna che scrive e che ha catturato il suo dolore, sperando di non averle inferto sassate al cuore. Nessuna poesia mi ha dato il rapimento che Venezia infonde senza proferire parola, il suo verbo declina la bellezza, là dove la scrittura si piega.

Andreina Corso

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