La concezione dell’allenatore manager, è ancora lontana dal calcio italiano.
Presidenti tuttofare e dalla presenza ingombrante sono una costanza del campionato, tra gli ultimi sicuramente Maurizio Zamparini del Palermo e De Laurentis del Napoli. Dirigenti molto presenti e soprattutto decisionisti, che apparentemente potrebbe sembrare un fatto positivo ma quando il potere del Presidente sfocia in ambiti di campo. Storiche le frecciate di Silvio Berlusconi a qualunque allenatore del suo Milan.
Resistere è impresa e l’ultimo esempio è quello del povero Walter Zenga a Genova, appena arrivato e già in difficoltà con l’esuberanza di Ferrero.
Si è opposto con tutte le forze all’arrivo del figliol prodigo (e idolo) Antonio Cassano a alla fine contro tifosi e soprattutto la dirigenza, ha vinto. Ritiene il giocatore dannoso per l’armonia del gruppo che sta costruendo ma soprattutto vuole sicuramente evitarsi ulteriori difficoltà nell’anno della sua grande occasione. Cassano è certamente un ottimo giocatore, spesso anche risolutivo ma il carattere ne ha frenato la carriera e per gestirlo ci vuole polso di ferro e coraggio. Vi hanno rinunciato allenatori come Fabio Capello, bene fa Zenga a lasciarlo ad altri.
La figura dell’allenatore può far risultare vincente un club come o più della rosa dei giocatori. Certamente il classico campione che risolve con un colpo la partita è sempre utile ma molto può fare il gruppo e la convinzione instaurata dal mister ai calciatori.
Andando indietro nel tempo si possono citare i mitici esempi di Brian Clough che prima con il Derby County vinse la Premier League e successivamente con il Nottingham Forrest vinse per due anni consecutivi la Coppa dei Campioni negli anni 80. Tornando all’Italia non si può dimenticare lo scudetto di Osvaldo Bagnoli a Verona del 1985 e quello di Vujadin Boskov con la Sampdoria nel 1991.
Troppo facile l’esonero degli allenatori, troppo bassa la stima che viene riposta nel loro lavoro. Non sempre l’alchimia viene trovata immediatamente e per raggiungere i risultati ci può volere tempo e pazienza.
Ecco che cosa manca ai dirigenti del nostro calcio, la pazienza. Wenger all’Arsenal o Ferguson a Manchester sono rimasti sulla stessa panchina per decenni, attraversando momenti di esaltazione ma anche molti bui. Eppure quasi mai è passata per l’anticamera del cervello dei loro dirigenti di mandarli a casa. Con il lavoro, con il gruppo e soprattutto con l’appoggio della Società, si riesce ad andare oltre e a vincere.
L’augurio all’ex portiere di Inter e Sampdoria è certamente quello di portare più in alto possibile i blucerchiati e benché parta in salita, massima stima per aver saputo dire di no.
Mattia Cagalli
24/07/2015
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