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Borseggi nelle grandi città, l’impunibilità per le donne rom

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Borseggi nelle grandi città che stanno diventando una vera e propria piaga sociale, con apici incredibili in alcuni casi come quello di Milano.
Alessia A., 29 anni, 9 figli, 115 identificazioni delle forze dell’ordine, 49 denunce, 16 arresti. Marta S., 21 anni, 4 figli, 152 identificazioni, 24 denunce, 25 arresti. Fanisa H., 29 anni, 5 figli, 24 denunce, 8 arresti. Serya O., 23 anni, 4 figli, 68 denunce, 22 arresti. E poi Debora H., 20 anni, 3 figli, 27 denunce e 7 arresti.
Questo il ‘bollettino’ delle donne raccontato oggi dal Corriere, reclutate per il borseggio in metrò a Milano. Una sorta di organizzazione, di impresa in cui le donne collaborano in mutuo soccorso per portare a casa a fine giornata i risultati di quello che viene intrapreso come un ‘lavoro’, che si fonda dall’aver scoperto tra le pieghe della giurisprudenza italiana una dimensione in cui è possibile praticamente sempre farla franca, anche quando si viene presi il flagranza di reato.
Il reato, in pratica, non esiste se a commetterlo è una madre con tanti figli o una donna incinta. E sulla base di questa consuetudine è a volte possibile vedere scene assurde come la donna bosniaca che saluta nello stesso posto lo stesso agente che l’aveva arrestata il giorno prima, o il gruppo di donne che passano vicino agli agenti che le hanno fermate nei giorni precedenti irridendoli.

Il 27 giugno scorso le hanno arrestate di nuovo, tutte insieme, gli agenti dell’Unità reati predatori della Polizia locale di Milano. In metrò, fermata stazione Centrale, stavano sfilando il portafogli a una turista asiatica. Cinque donne e madri (in tutto) di 25 bambini. Una, per rubare, aveva al collo il figlio di 3 mesi. Tutte insieme, quelle ragazze rom, due bosniache e tre italiane, negli ultimi anni hanno messo insieme un curriculum criminale elencato in decine di pagine: 192 denunce, 78 arresti. Solo furti. Furti «con strappo», furti «con destrezza». Borseggiatrici professioniste. Tra Roma, Milano, la Toscana. Carcere: quasi mai. Il codice penale rispetta le madri e i loro bambini. Ma così per quelle donne, di fatto, certi reati sono «depenalizzati».

Le loro storie raccontate dal Corriere si scoprono attraverso i documenti di processi che di solito scivolano nelle aule di giustizia come in una catena di montaggio. Storie che dimostrano come il sistema di repressione di certa microcriminalità sia inceppato: il lavoro delle forze dell’ordine si avvita in una sequenza di arresti «a vuoto».

Tribunale di Milano, 29 giugno, aula delle «direttissime». Sono in cinque, tra loro: Alessia A., 29 anni, ha 9 bambini, un marito. Marta S. ha 4 bambini, sono incinta al settimo mese». Fanisa H. ha 5 figli.
Vengono condannate tutte e cinque (un anno e 8 mesi) e messe in libertà.

A Venezia non ci sono stazioni del metrò, ma le ‘operatrici’ del nostro territorio (anche loro abbondantemente note) si possono distinguere nelle affollate file per salire in vaporetto dei pontili più affollati.

Redazione

08/07/2015

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