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Visitare siti pornografici con i computer aziendali può costituire giusta causa di licenziamento

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Visitare siti pornografici con i computer aziendali  può costituire giusta causa di licenziamento

Dipendenti che navigano su siti pornografici durante l’orario di lavoro. Palpeggiamenti e attenzioni indesiderate da parte del datore di lavoro. L’arcana e incontenibile pulsione libidica di freudiana memoria ormai penetra sempre più prepotentemente all’interno del mondo del lavoro, generando situazioni grottesche e surreali che ottengono ampia visibilità sulla stampa.

La navigazione sui siti vietati ai minori di 18 anni durante le ore di lavoro può costituire giusta causa di licenziamento. La giurisprudenza sul punto, in genere, è piuttosto severa. Infatti, in linea di principio è sufficiente che il lavoratore visiti alcuni siti pornografici occasionalmente o (persino una sola volta per un periodo di tempo significativo) per rischiare di compromettere irreparabilmente il rapporto fiduciario, in quanto tale condotta rappresenta una grave violazione dell’obbligo di diligenza e correttezza (art. 2104 c.c.).

Inoltre, non è necessario che i contratti collettivi o i codici disciplinari prevedano espressamente la sanzione del licenziamento in caso di navigazione su siti hard, in quanto la sanzione espulsiva discende direttamente dai principi generali del nostro ordinamento (venir meno del rapporto fiduciario che legittima il licenziamento per giusta causa) e dalle norme di legge che disciplinano il contratto di lavoro (quanto meno l’obbligo generale di diligenza nell’esecuzione della prestazione). Infatti, la giurisprudenza ritiene che la nozione di giusta causa di licenziamento non possa essere «tipizzata» in modo tassativo nei contratti collettivi, ma rimanga un principio generale collegato al venir meno del rapporto fiduciario (come tale sostanzialmente rimesso alla valutazione insindacabile del giudice). Pertanto, quella che a molti può sembrare una «ragazzata» tra colleghi può rischiare realmente di condurre al licenziamento per giusta causa, anche se i

Diritto del Lavoro, a cura dell’Avv. Gianluca Teat

contratti collettivi non prevedono espressamente il licenziamento disciplinare in caso di navigazione sui siti pornografici.

Sul punto si rinvia all’ordinanza 1 agosto 2014 del Tribunale di Milano che analizza dettagliatamente tale materia dal punto di vista del giudice di merito (ovverosia considerando anche tutte le problematiche relative alla prova del fatto). Infatti, se il computer aziendale del dipendente che è entrato su un sito pornografico è protetto da una password personale, è molto più semplice dimostrare in via presuntiva che è stato proprio il soggetto che lo utilizza abitualmente a effettuare la navigazione «proibita». Al contrario, se qualsiasi lavoratore può usare quel particolare pc, occorrerà provare (ad esempio con dei testimoni) che è stato il dipendente Tizio e non Caio a visionare le immagini o i filmati vietati ai minori.

In un mondo in cui l’economia e l’eros virtuali iniziano a essere più importanti di quelli reali, è normale che l’Es freudiano (inconscio contente anche la pulsione erotica/vitale) riemerga preponderante anche sul posto di lavoro, mentre il Super Io (il «censore interno») sia in una posizione sempre più precaria e traballante.

I siti aziendali ingigantiscono, travisano, massimizzano le attività e i successi. La vendita di alcune sedie (magari sotto costo) viene ormai indicata sul sito aziendale come l’inizio di un grande progetto con un noto cliente internazionale. La fornitura di un paio di magliette di modesto valore viene tratteggiata come una nuova grande collaborazione con un famoso cliente straniero. Le imprese stesse delegano i propri dipendenti a creare profili Facebook fake per aumentare il livello di interazione dei post e fingere un interesse che non esiste (o che esiste in misura minore).

In questo mondo artificiale è normale che anche la pulsione erotica si sganci dalla realtà, «insinuandosi» sensualmente tra le «pieghe» di relazioni clandestine, semiclandestine, virtuali, surreali, se non addirittura immaginarie, che, a tratti, riemergono anche sul posto di lavoro sotto forma di veloci click su siti pornografici o di e-mail dal contenuto erotico fino alla «tranvata» finale del licenziamento per giusta causa. Così come, prima o poi, arriverà anche la «tranvata» finale all’attuale sistema economico, in quanto la realtà sociale, così come quella erotica, «sconfiggono» sempre, nel lungo periodo, il «paradiso» economico immaginario teorizzato dai profeti del libero mercato mondiale e l’«Eden» carnale artificiale delle sacerdotesse (e sacerdoti) dell’eros che dominano sulla rete.

Avv. Gianluca Teat

Potete contattarmi via e-mail avv.gianluca.teat@gmail.com
o interagire con il mio profilo Facebook Avv. Gianluca Teat

14/02/2016

Riproduzione vietata

(Immagine: Danae (1907-1908) del celebre pittore austriaco Gustav Klimt (1862-1918). Ben simboleggia l’arcano potere attrattivo della sessualità).

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