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Trump firma davvero ordinanza: musulmani fuori dall’America

Le persone sospese dal suo provvedimento mentre erano già in volo per gli Stati Uniti sono state fermate e detenute agli aeroporti di arrivo in attesa di essere rimpatriate

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Trump promette e mantiene, a quanto pare. Viene eletto e come prima cosa firma davvero l’ordinanza che, di fatto, comincia a chiudere fuori i musulmani dall’America. Da oggi in 7 paesi a maggioranza islamica i turisti arabi rimarranno senza visto di ingresso, con una penalizzazione più pesante per la Siria.

La decisione del presidente degli Stati Uniti d’America ha ovviamente scatenato reazioni. Panico, rabbia, proteste e minacce di ricorsi legali, forse anche con una class action. E soprattutto in questo momento caos negli aeroporti.

Sono le reazioni, in Usa e nel mondo, all’ordine esecutivo con cui Donald Trump ha congelato per tre mesi gli arrivi da sette paesi a maggioranza islamica e per quattro mesi il programma dei rifugiati (a tempo indeterminato per quelli siriani), piu’ che dimezzando a 50 mila il numero di quelli previsti per quest’anno dall’amministrazione Obama.

Si tratta di uno stop alle ondate migratorie senza precedenti, deciso da Trump per mettere a punto
controlli piu’ severi contro l’ingresso di terroristi stranieri.

Il Nyt e’ sceso subito in campo sostenendo che il provvedimento e’ “illegale” perche’ viola la legge Usa che dal 1965 vieta qualsiasi discriminazione contro gli immigranti basata sull’origine nazionale.

Una discriminazione aggravata da quella religiosa, dato che Trump, oltre a mettere nel mirino solo Paesi musulmani, ha disposto di dare priorità in futuro ai rifugiati cristiani o di altre minoranze religiose perseguitate.

Col paradosso inoltre che nel suo bando il presidente, pur citando l’11 settembre, ha “dimenticato” i Paesi da cui provenivano gli attentatori: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Libano, dove in alcuni casi possiede degli asset.

L’Iran e’ stato il primo Paese a reagire. Dopo le critiche del presidente Hassan Rohani (“Oggi è tempo di riconciliazione e convivenza, non di erigere muri tra le nazioni”), Teheran ha deciso di applicare il principio della reciprocita’ contro questo “affronto” che rischia di essere “un grande dono agli estremisti”.
L’attrice iraniania Tanareh Alidoosti, protagonista del film ‘The Salesman’ (Il cliente) candidato agli Oscar, ha intanto deciso di boicottare la cerimonia di premiazione.

Immediata anche la replica dell’Onu: l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e l’Alto commissariato Onu per i rifugiati hanno chiesto agli Usa di “continuare ad esercitare il loro forte ruolo di leadership” e a rispettare “la lunga tradizione di proteggere coloro che fuggono da conflitti e persecuzioni”.

Francois Hollande e’ stato invece il primo leader europeo ad invocare la “fermezza” del vecchio continente nel dialogo con Trump, prima di ricevere la sua telefonata. “L’Europa deve definire una politica estera comune per affrontare il resto del mondo”, ha detto, ricordando che “il protezionismo non fa parte del Dna europeo”.

Anche il mondo della cultura si mobilita. “Mi si spezza il cuore nel vedere che oggi il presidente Trump chiude la porta ai bambini, alle madri e ai padri che fuggono dalla violenza e dalla guerra”, ha scritto su Fb il premio Nobel per la pace 2014 Malala Yousafzai.

La protesta cresce pure in Usa, dove il giro di vite di Trump potrebbe avere conseguenze boomerang, e non solo sul fronte della sicurezza. Le persone sospese dal suo provvedimento mentre erano già in volo per gli Stati Uniti sono state fermate e detenute agli aeroporti di arrivo. Come capitato a due rifugiati iracheni fermati allo scalo di Ny.
Gli avvocati che li rappresentano hanno già presentato ricorso e avviato le procedure per una possibile class action.

Anche vari gruppi per la difesa dei diritti umani stanno affilando le armi per una battaglia legale. Tra questi, il Consiglio per le Relazioni americano-islamiche.

Le compagnie aeree si stanno pero’ già adeguando alle nuove misure, bloccando i passeggeri nella ‘lista nera’ anche negli scali di partenza.

L’inquietudine monta pure nel mondo accademico e studentesco americano. Una petizione e’ già stata firmata da 12 premi Nobel e migliaia di docenti.

Preoccupati anche gli studenti, che hanno cominciato a radunarsi in alcuni atenei, tra cui Harvard. Alzata di scudi anche dalla Silicon Valley, quella che più ha beneficiato dei talenti da oltreoceano.

Il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg si è detto preoccupato dalla stretta sui migranti esortando il presidente a mantenere aperti i confini degli Stati Uniti ai rifugiati che hanno bisogno di un rifugio sicuro e a non deportare milioni di persone senza documenti che non pongono alcuna minaccia alla sicurezza nazionale.

Sulla stessa lunghezza d’onda i dirigenti di Twitter e Google, quest’ultima affrettatasi a far rientrare il prima possibile circa 100 suoi dipendenti provenienti dai Paesi islamici.

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