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The Wolf of Wall Street, quando il lupo perde il pelo ma non il vizio. Di Alice Bianco

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Coinvolgente, entusiasmante, caotico e con un Leonardo di Caprio immenso, che riesce a catturare il pubblico e porlo ai suoi piedi, questo è The Wolf of Wall Street, l’ultima pazza fatica di un maestro del cinema come Martin Scorsese e del suo attore feticcio Di Caprio, che sa sorprendere, far sorridere ed ammaliare.

Il film racconta la vera storia di Jordan Belfort (Di Caprio) un giovane broker finanziario costruitosi dal nulla un impero. Iniziata la carriera a Wall Street nel 1987 con un mentore cocainomane come Mark Hanna (Matthew McCounaghey), si mise poi in società con un amico, Donnie Azoff (Jonah Hill) e in poco tempo fondò una sua agenzia, la Stratton Oakmont, che ben presto gli assicurò denaro, droga e tanti altri eccessi. Tutto filò liscio finché ad intromettersi non fu l’agente dell’FBI Patrick Denham (Kyle Chandler), che in tutti i modi cercò di farlo fuori.

L’avidità umana, la voglia di potere, le tentazioni derivanti dal denaro e dalle sostanze che rendono tutto più stupefacente, sono questi gli elementi base di quella giungla dinamica e caotica rappresentata dall’impero finanziario e deregolamentato imbastito da Jordan Belfort.

L’ascesa del broker americano più famoso degli anni ’80 e ’90, è descritta minuziosamente, nelle circa tre ore di pellicola, dal regista e dallo sceneggiatore Terence Winter (I Soprano, Boardwalk Empire), che hanno creato un film Di Caprio-centrico, per riuscire con la sua bravura, l’istrionismo e la determinatezza a raccontare una parabola di vita vissuta appieno.

Giovanissimo, affascinante e con una sete di potere ed affermazione, questo è il ritratto del Belfort di Scorsese, un ragazzo di umili origini sempre proiettato in alto, ostacolato alla fine, solamente dalle leggi e dall’amore.

Successi ed insuccessi pubblici e privati che hanno caratterizzato la sua vita e come un iperbole in bilico, essa si è conclusa nel peggiore dei modi, anche se forte è il messaggio concreto finale, che dimostra come l’istintivo Belfort, non si arrenda mai. Come si dice, “Il lupo perde il pelo ma non il vizio”.

Con The Wolf of Wall Street, Scorsese si è modernizzato, come se il brillante protagonista lo avesse trascinato nel suo turbine con una ventata di giovinezza ed idee moderne. I gangster più volte presi in causa dal regista non ci sono, ma di per sé Belfort potrebbe essere considerato uno di essi: vendeva titoli a basso costo ad esponenti della classe media, si arricchiva e compiva numerose azioni illegali.

Commedia nera e grottesca, assieme ad American Hustle, il film si consacra come icona di questo periodo di incertezze e crisi economiche, trasportando lo spettatore nella confusione dell’ufficio e della vita del protagonista, grazie anche ad un eclettico montaggio adrenalinico, offrendo un Di Caprio strabiliante, eccessivo e mai così determinato a far di tutto per ottenere un altro risultato: il premio Oscar.

Alice Bianco

[22/01/2014]

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