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Silence, le mille ambiguità del silenzio di Dio

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Silence, le mille ambiguità del silenzio di Dio

Probabile che molti spettatori siano rimasti interdetti di fronte alla visione di questo ultimo Scorsese. E non tanto perché non ci troviamo davanti a un tour de force contemporaneo con Di Caprio protagonista, quanto per l’evidenza della tematica religiosa nel film e per la messinscena. Dimentichi che il discorso sulla fede e sugli individui ossessionati da una risposta definitiva sul vivere permea gran parte del cinema del regista.

Per rammentare le tematiche di una fede cercata e dubitata in modi dostoevskiani, ancor più che ne “L’ultima tentazione di Cristo”, dovremmo tornare agli esordi, a “Mean Streets”.
Certo è vero che in “Silence” il discorso si fa decisamente palese e l’autore ci costringe a seguire il cammino del pertinace padre Rodrigues alla ricerca del mentore, padre Ferreira, di cui si teme che il destino sia contraddistinto da abiura e conversione alla fede buddista. Il tutto ambientato nel Giappone del XVIII secolo dell’era Tokugawa.

Allora, io non sono certo uno storico del Giappone né ho credenziali di esperto di religioni; conosco però il cinema di Scorsese. Il suo cinema è un cinema fatto di conflitti interiori, di individui messi soli alla prova, privi di un riferimento autentico e lasciati in balìa di una realtà cruda e camaleontica.
E camaleontico è questo film, che si apre con un invito al silenzio, dopo che un lacerante sibilo offende le nostre orecchie di spettatori. Ma non siamo di fronte a una pellicola che ci invita a preferire la dimensione muta dello spirito. Anzi; il film è un costante ribaltamento di punti di vista.

Ogni personaggio del film sembra avere delle ottime ragioni. Chi crede di essere Rodrigues, le cui convinzioni superano i più logici inviti al compromesso, anche a rischio di vite altrui? E’ preferibile la sua incrollabilità o l’eterno abiurare e poi riconfermarsi nella confessione dell’interprete (“ci sarà un posto per un uomo debole in questo mondo crudele”). E padre Ferreira è un traditore oppure un saggio che ha compreso che c’è una terza via, oltre il conflitto, per vivere la propria fede in Cristo?
E sono solamente crudeli i metodi dell’inquisitore, davanti a cui beffardamente, Rodrigues si troverà di fronte senza saperlo, o è vero che il Giappone “è un paese così pieno di acqua che nulla mette radici”, per cui vane sono le imprese di convertire al cristianesimo le loro genti? E i convertiti che cosa aspettano dal paradiso? Solo una fuga da una vita crudele e piena di sofferenze.

Non proseguirò nel raccontare la trama; lancio i suoi interrogativi, che il film non vuole risolvere del tutto. Partendo da un romanzo del 1966 di Shūsaku Endō, già messo in scena in passato, e raccontando un periodo storico tra i più crudeli del Giappone, Scorsese sembra voler raccogliere le fila di un’esistenza artistica e personale in cui il rapporto con la realtà, le solitudini e proprio quel silenzio di Dio che non offre nessuna risposta ai suoi personaggi maggiori non poteva non condurre a un film come questo.

Ci sarebbero molte cose da dire (per esempio l’identificazione/allucinazione di Rodrigues in Gesù, il cui volto si intravede in una pozza d’acqua sovrapponendosi al riflesso del suo volto-illuminazione o follia?-Lo stesso volto ritorna in una situazione totalmente capovolta); quello che però non va dimenticato di dire è che siamo di fronte a un film di quelli che solo un Grande Maestro di cinema, al pari di Kurosawa, Bergman, Rossellini, poteva realizzare.

Indifferente allo sconcerto che può causare allo spettatore abituato a certi suoi film più di maniera e non chiuso in se stesso ma in costante offerta di domande verso chi guarda. A questo va aggiunto la qualità formale della pellicola tra ciui l’eccellente fotografia di Rodrigo Prieto, capace di rimarcare le scene più forti e sofferenti come di rinchiuderci in penombre prossime al buio; e le interpretazioni del cast, sia di Garfield, Driver e Neeson come di Asano (l’interprete, il personaggio cruciale del film e il regista Shinya Tsukamoto, Issei Ogata, eccezionale inquisitore beffardo e crudele quanto intelligente e di Yoshi Oida, capo spirituale del villaggio di cristiani rifugiati.

SILENCE
(id., 2016)
regia: Martin Scorsese
con: Andrew Garfield, Adam Driver, Liam Neeson, Tadanobu Asano.

Giovanni Natoli

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