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‘RoboCop’ 2014, recensione: la coscienza della macchina. Di Sara Prian

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Robocop 2014

Era la fine degli anni Ottanta e Paul Verhoeven ci presentò una pellicola destinata a diventare un cult anche per le generazioni successive: Robocop.

2014 il semi esordiente José Padilha si imbarca nell’avventura, sempre complicata, del reboot, cercando di trasformare il prototipo del 1987 nella progetto finale, riuscendoci a metà.

Quando Alex Murphy (Joel Kinnaman) finisce vittima di un attentato nei suoi confronti, si ritrova in fin di vita con molti degli arti amputati. L’unico modo per sopravvivere è quella di trasformarlo in robot, ma a differenza di quelli in commercio che difendono le strade del mondo, l’uomo possiede una coscienza che gli deriva dalla sua parte umana. Ma quando la società capirà che non potrà manovrare Alex come una delle tante macchine, cercherà di eliminarlo, senza fare i conti con l’uomo che ci sta dietro al robot.

Se vi aspettate grandi scene d’azione e ricchi momenti splatter e ironici come ci aveva abituato il visionario Verhoeven, vi sbagliate. Questo è un RoboCop completamente diverso, soprattutto nell’approccio al materiale.

Quello che Padilha ha deciso di mettere in risalto qui, in maniera intelligente o meno dipende dal gusto dello spettatore, è la psicologia dietro al robot. Il protagonista quindi non è RoboCop, ma bensì la coscienza di Alex, l’uomo che è costretto a rinascere sotto forma di macchina e che deve fare i conti con i cambiamenti della sua vita.

Ad essere al centro, infatti, sono i sentimenti, l’amore che Alex prova per la moglie e per il figlio, i due fulcri fondamentali che gli permettono di rimanere uomo anche quando tutti gli chiedono di essere solo macchina.

Concentrandosi su questo, si perde di vista la parte d’azione e fantascientifica della pellicola, che finisce in secondo piano, rendendo, in special modo la prima parte, troppo introduttiva e troppo statica. Sicuramente si riprende nella seconda parte, dove però l’attenzione di molti potrebbe già essere calata.

Questo RoboCop rispetto a quello dell’87, è una pellicola fortemente soggettiva che paradossalmente potrebbe piacere più al gentil sesso che agli uomini, proprio a causa della sua forte valenza psicologica a discapito della matrice fantascientifica ed azione.

Un film però tutto sommato accettabile, anche se l’inesperienza del regista si sente tutta soprattutto nel non essere ancora in grado di equilibrare le varie parti come hanno fatto, ad esempio, i registi che hanno preso in mano i super eroi Marvel.

Uomo sì, psicologia anche, ma ci vuole più intrattenimento per rendere la pellicola appetibile al 100%.

Sara Prian

[08/02/2014]

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