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Quel vento e quel fiore della Tunisia

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quel vento quel fiore della tunisia cesare colonnese

Qui sotto l’ultimo scritto di Cesare Colonnese denso di sensazioni ed emozioni. Come sempre.
Nota dell’autore: è consigliata durante la lettura una colonna sonora di sottofondo. E’ sufficiente far partire questo video prima di cominciare a leggere. Sarà un accompagnamento semplice e complementare.

Quel vento e quel fiore della Tunisia. Di Cesare Colonnese

Una valigia aperta poggiata sopra il letto disfatto perché si è fatto tardi e, come al solito quei pantaloni che tanto ti stan bene addosso li hai lavati all’ultimo momento e non sono ancora asciutti.
Velocemente tiri fuori dall’armadio quella tavola da stiro che usi sempre meno e la piazzi nel bel mezzo della sala. Inserisci la presa del ferro da stiro nella corrente.
Il dubbio di averlo lasciato attaccato ti assalirà più tardi, durante il viaggio, come accade sempre quando parti.

Le otto, il volo per Monastir parte alle undici. Sono quei voli low coast che non puoi manco farti rimborsare. Semmai lo perdessi.
Monastir e’ un posto spettacolare, che dista circa 150 km da Tunisi.

Hai lo stomaco in subbuglio,stranamente salti perfino la colazione, tanta è l’emozione di atterrare in Tunisia. Il tuo primo viaggio in Africa, in quel paese vicino che sembra così lontano e diverso nelle abitudini e nei costumi. Però ti affascina e lo immagini immenso, mentre stiri sommariamente, come una distesa di sabbia cocente con qualche cammello, pronto a portarti pazientemente al galoppo con la sua andatura lenta e sussultoria.
Guardi il cammello negli occhi e la sua espressione buffa apre improvvisamente in te la certezza che somigli al tuo vicino di casa.
È domato da un uomo arabo, un giovane che dice di avere trentacinque anni e ne dimostra più di cinquanta. Un tipo allegro, bruciato dal sole e dal vento, parla di continuo e velocemente, mentre un raggio si riflette su quel dente d’oro posto proprio al centro del suo bel sorriso.

Distese di sabbia poco lontane dal centro città, dove Moschee, case e quel gran monastero con la fortezza chiamata Ribat rubano il tuo sguardo e catturano la tua sensibilità. Tutto è caldo quaggiù, anche i colori.

Nella piazzetta della cittadina vi è un piccolo bar che fa angolo. Sembra mezzo diroccato e sporco, ma guardando meglio ti accorgi che i bicchieri son molto puliti e brillanti, molto più di quel che credevi.
Qualcosa di strano lo noti, noti che ci sono solo uomini seduti lì fuori. Donne non se ne vedono. Sono di tutte le età, dai vent’anni agli ottanta. Qualcuno fuma a rallentatore aspirando le essenze da un narghilè posto proprio sulla destra al suo fianco, come fosse un cane fedele. Ha i baffi folti e lo sguardo profondo quasi avesse il kajal e un po’ ti imbarazza perché tace e ti guarda facendo un sorriso quasi impercettibile. Sta notando con stupore la tua pelle chiara sotto la canottiera nera che gli sembra un biscotto al cioccolato in una tazza di latte.

Pochi passi più in là vi è un portico tutto scrostato con tanti piccoli negozi disordinati.
Tanti colori urlano attraverso i vetri intorbiditi dalla polvere. Odore stantìo di stoffe stipate tra l’umidità.
Viola come i ciclamini, rosse come l’Harissa, verdi come le foglie, mettono allegria e spensieratezza. Verrebbe voglia di completarli tutti quei foulard. Quanto costa chiedi tu.
Cinque dinari risponde il mercante che nel frattempo estrae da un cassetto alcune scatole di telefoni cellulari e qualche orologio proponendoli a prezzi stracciati.

Prendo il rosso, il verde e anche il telefono. L’uomo insiste per farti uscire anche col foulard viola e tu, dopo non esser stato in grado di spiegare che il viola in Italia porta male, lo prendi come souvenir di Tunisi per la zia più antipatica che hai. Il mercante contento ti regala un fiore e ti promette che ti porterà fortuna durante il tuo viaggio.
Ringraziando te ne esci felice, spostando con la mano destra quella tenda di fettuccine di plastica che un tempo usavamo anche noi per non fare passare le mosche.
Caspita, ti ricordi? Queste le usavamo anche noi tanti anni fa!

Fa caldo, ma il vento sembra accarezzare il collo, con il suo soffiare costante e instancabile.
Cerchiamo la spiaggia, dici sorridendo a un Tunisino. Andate sempre dritti spiega un giovane ragazzo e poi girate a destra. Lì troverete il mare.

Girato quell’enorme palazzo di mosaici, come da un sipario che si alza appare un mare immenso.
Sembra non avere orizzonti e confini, talmente limpido e quieto si presenta.
La spiaggia è gremita, un arabo dondolante gira con un cesto di birre gelate e frutta fresche da masticare.
Qui ci sono uomini, ma anche donne.
Gli uomini indossano un costume da bagno, le donne sono vestite e coperte come quando camminano in strada. Spostando gli occhi le vedi tra le onde e ti rendi conto che vanno in acqua così, vestite.
Camminano pian piano dal bagnasciuga in là, immergendo il loro corpo centimetro dopo centimetro nell’acqua del mare. Con un andare lento, come in un sonno, i loro veli si adagiano sulle acque, mentre loro si inzuppano gli abiti in un bagno composto, inespressivo, muto, quasi surreale. Il pantalone e’ stirato.
Caspita, sono già le nove, e’ ora di smettere di sognare ad occhi aperti se non vorrai perdere il volo.

La valigia e’ chiusa, il check in e’ fatto. Ultima chiamata Monastir, gate 2.
Gate 2 e si decolla.
Il volo e’ spensierato e leggero come quello di una farfalla che accarezza l’Italia prima di poggiare le ali.
Arrivato ti senti avvolgere dall’entusiasmo e non vi è tempo per disfare le valigie, la voglia di vivere tutto questo è incontenibile.
Tutto e’ come sognavi, come ti avevano raccontato, come immaginavi tu, mentre stiravi quei pantaloni.

Un tassista ti accompagna dove vi e’una distesa di sabbia cocente con qualche cammello, pronto a portarti pazientemente al galoppo con la sua andatura lenta e sussultoria.
Guardi il cammello negli occhi e la sua espressione buffa apre improvvisamente in te la certezza che somigli al tuo vicino di casa.
È domato da un uomo arabo, un giovane che dice di avere trentacinque anni e ne dimostra più di cinquanta. Un tipo allegro, bruciato dal sole, parla di continuo e velocemente, mentre un raggio si riflette su quel dente d’oro posto proprio al centro del suo bel sorriso.

Distese di sabbia poco lontane dal centro città, dove Moschee, case e quel gran monastero con la fortezza chiamata Ribat rubano il tuo sguardo e catturano la tua sensibilità.
Tutto è caldo quaggiù, anche i colori.
Nella piazzetta della cittadina vi è un piccolo bar che fa angolo.
Sembra mezzo diroccato e sporco, ma guardando meglio ti accorgi che i bicchieri son molto puliti e brillanti, molto più di quel che credevi.
Qualcosa di strano lo noti, noti che ci sono solo uomini seduti lì fuori. Donne non se ne vedono.
Sono di tutte le età, dai vent’anni agli ottanta. Qualcuno fuma a rallentatore aspirando le essenze da un narghilè posto proprio sulla destra al suo fianco, come fosse un cane fedele. Ha i baffi folti e lo sguardo profondo quasi avesse il kajal e un po’ ti imbarazza perché tace e ti guarda facendo un sorriso quasi impercettibile.
Sta notando con stupore la tua pelle chiara sotto la canottiera nera che gli sembra un biscotto al cioccolato in una tazza di latte.

Pochi passi più in là vi è un portico tutto scrostato con tanti piccoli negozi disordinati.
Tanti colori urlano attraverso i vetri intorbiditi dalla polvere.
Odore stantìo di stoffe stipate tra l’umidità. Viola come i ciclamini, rosse come l’Harissa, verdi come le foglie, mettono allegria e spensieratezza. Verrebbe voglia di completarli tutti quei foulard.
Quanto costa chiedi tu. Cinque dinari risponde il mercante che nel frattempo estrae da un cassetto alcune scatole di telefoni cellulari e qualche orologio proponendoli a prezzi stracciati. Prendo il rosso, il verde e anche il telefono.
L’uomo insiste per farti uscire anche col foulard viola e tu, dopo non esser stato in grado di spiegare che il viola in Italia porta male, lo prendi come souvenir di Tunisi per la zia più antipatica che hai.
Il mercante contento ti regala un fiore e ti promette che ti porterà fortuna durante il tuo viaggio.
Ringraziando te ne esci felice, spostando con la mano destra quella tenda di fettuccine di plastica che un tempo usavamo anche noi per non fare passare le mosche.
Caspita, ti ricordi? Queste le usavamo anche noi tanti anni fa!

Fa caldo, ma il vento sembra accarezzare il collo, con il suo soffiare costante e instancabile.
Cerchiamo la spiaggia, dici sorridendo a un Tunisino.
Andate sempre dritti spiega un giovane ragazzo e poi girate a destra. Lì troverete il mare.

Girato quell’enorme palazzo di mosaici, come da un sipario che si alza appare un mare immenso. Sembra non avere orizzonti e confini, talmente limpido e quieto si presenta.
La spiaggia è gremita, un arabo dondolante gira con un cesto di birre gelate e frutta fresche da masticare. Qui ci sono uomini, ma anche donne.
Gli uomini indossano un costume da bagno, le donne sono vestite e coperte come quando camminano in strada.
Spostando gli occhi le vedi tra le onde e ti rendi conto che vanno in acqua così, vestite.
Camminano pian piano dal bagnasciuga in là, immergendo il loro corpo centimetro dopo centimetro nell’acqua del mare. Con un andare lento, come in un sonno, i loro veli si adagiano sulle acque, mentre loro si inzuppano gli abiti in un bagno composto, inespressivo, muto, quasi surreale.
Tu sei lì che osservi tutto, respiri piano per non perdere l’attimo, mentre dal mare spunta una barca che si fa sempre piu’ vicina.
Qualcuno scavalca, si avvicina alla riva e spara all’impazzata commettendo una strage. Uccide persone, speranze, pensieri, sogni.
Il giorno dopo è un campo di fiori, sui quali tu poni il fiore del buon viaggio che era stato regalato a te.
Tu non sai perché sei vivo e lui che era sdraiato vicino non c’è più, non capisci, non capisci più perché la vita ci tradisca così, perché sia così beffarda da porgerci un’illusione con una mano e una delusione, un dolore con l’altra…

cesare colonnese columnist la voce di venezia

Cesare Colonnese

06/08/2015

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