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QUEL “FILO” CHE CI CONDUCE ALL’ORIZZONTE (I)

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Vorrei per una volta, questa volta, portarvi verso l’orizzonte anzichè voltarmi per parlare del passato, ancorchè si tratti di un gran passato, come ho fatto spesso nel corso degli ultimi tempi.
L’occasione si presenta con la visita alla mostra di un Artista con caratteristiche particolari, invitato ad esporre in situazioni decisamente fuori della norma, pur tuttavia di estremo valore, poichè lo spazio espositivo è il foyer di un teatro di provincia in occasione delle manifestazioni di prosa, che gli organizzatori hanno ben pensato di abbinare con risultati assai piacevoli poichè gli Artisti invitati hanno la possibilità  di presentare le loro opere ad una “ platea “ vasta e, talvolta, vergine sulla conoscenza dell’arte visiva aprendo così finestre su valori che potrebbero, altrimenti, restare sconosciuti a molti e per sempre.

Chiariamo allora: lo spazio è, come detto, il foyer del grazioso Teatro “ Sala BARBAZZA” di Spinea in provincia di Venezia, gli organizzatori il Centro di Ascolto “Attilio Scocco” di Spinea, i quali con acume e sensibilità  hanno voluto portare l’Arte visiva a teatro per offrirla ad un maggior numero di persone possibile.
Il nostro Artista è un giovanissimo: Cristiano VETTORE, veneziano, il quale in controtendenza alle moderne spinte artistiche di moda ha scelto, con perfetta cognizione di causa, l’Arte antica e difficile della calcografia portandola a dei limiti di perfezione segnica tecnicamente degni di chi lo ha preceduto nello sviluppo del tratto inciso su lastra che andrà  a manifestarsi specularmente sul foglio mostrando la bellezza di un pensiero denso di segrete pulsioni, immaginifiche sensazioni
accumulatesi nell’animo dell’Autore.
La sua Mostra è intitolata, non a caso, “ I Paesaggi interiori “ avendo come oggetto la presentazione di una Natura magica ed evocativa permeata di silenzi metafisici densi, tuttavia, della forza di un canto fragoroso capace di palesarsi ai più ricettivi tra di noi che siano preparati ad udire l’enfasi “silente” della bellezza allo stato puro.
I temi non potevano che essere, per dichiarata soggettiva appartenenza, la nostra laguna e le cime dolomitiche luoghi, per antonomasia, detenenti il valore della quiete corroborata di quel mistero esistenziale tanto caro alle anime più sensibili, a cui il Nostro appartiene.

Ecco, pertanto, apparire in questi fogli sinuosi “ghebi” che vanno a liquefarsi tra l’intrico delle velme e delle barene come arterie di un corpo ancora vivente, malgrado i tentativi dell’uomo di impadronirsi della loro anima antica, promuovendo il loro andamento dirigendosi verso un lontano orizzonte il quale pare accoglierli in un paese di luce, luogo di salvazione, punto di congiunzione tra il cielo e la terra, speranza di un Eden oramai perduto per sempre.

… segue …

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