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“Qualcosa che non muore”, primo romanzo di Lino Berton (Amos Edizioni). Di Andreina Corso

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Qualcosa che non muore primo romanzo di Lino Berton XAGE

Una lotta di malinconica dolcezza, un corsa senza fiato per contrastare la storia di una malattia che si muove fra speranza, illusione e sconforto. E l’amore che unisce i due protagonisti del romanzo, a spiegare il senso di un tempo negato, la delicatezza dei gesti e delle parole che accompagnano un viaggio tortuoso, illuminato qua e là da parole e silenzi che uniscono le loro anime.

Li si sente respirare fra le pagine, il fiato sospeso e i battiti del cuore, ci arrivano al petto e ci uniscono in una specie di indignazione che non vuole lasciare il posto alla resa, alla rassegnazione.
La malattia di Sandra, lui, l’io narrante che autentico Don Chisciotte dell’aspirazione al vero e al bene, vivono l’impatto dei difetti insiti in un mondo sanitario che non riesce a rispondere ai bisogni che la persona esprime, che mostra con fiducia, a mani aperte, per poter essere guarita.

Si scontrano con l’approssimazione delle cure, con tentativi fallimentari, mentre il corpo resiste protetto da un’ombra che lo rispetta, lo difende e lo tutela. Un’ombra ondivaga che riflette la parte più intima e profonda dei sentimenti che scorrono fra le pagine del libro e ci coinvolgono richiamandoci alla nostra responsabilità Stridono e chiedono ascolto i tempi inconciliabili fra chi aspetta e chi decide, sempre sul filo di una tensione ferita, se pur instancabile.

Lo smarrimento accompagna la storia di Sandra e della sua malattia. Sembra spuntare un farmaco che potrebbe aiutarla, ma risulta inavvicinabile, tardivo, l’io narrante prosegue indomito la sua corsa, ingoia bocconi amari: il sistema mostra la sua faccia burocratica e chi ne è vittima tenta di resistere.

La tensione emotiva è più forte della stanchezza, la volontà di desistere non lo sfiora. Mai avrebbe voluto fuggire dall’ombra che oramai invade tutte le sue emozioni e che insieme gli dà la forza di sfidare l’impossibile, di fare anche di più denunciando al mondo l’inferno che ha contaminato il corpo di Sandra che lentamente, ma inesorabilmente ha ceduto le forze pur senza arrendevolezza, con la sua anima consapevole, oramai.

Poteva forse quella medicina introvabile e perfino colpevole salvarle la vita? Lui, l’io narrante si interroga e chiede a noi di fare altrettanto, per non far morire una necessaria domanda di giustizia, se non sappiamo farlo per amore e per esigenza di riscatto, che ogni essere che vuol definirsi umano dovrebbe potersi porre.

Andreina Corso

08/10/2015

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