Nonostante l’incendio sono rimasti lì, nelle vicinanze di quella che era diventata la loro casa, anche se era fatta di un agglomerato chiamato “gran ghetto”, una baraccopoli, dove solo loro, i circa 500 nordafricani potevano vivere. Siamo in aperta campagna fra San Severo e Rignano Graganico e “certi” imprenditori pugliesi, li conoscono bene quei neri che sfruttano fino alla morte in estate per la raccolta dei pomodori che arrivano alle nostre linde tavole.
Del resto in estate arrivano ad essere oltre 1500 i disperati che cercano lavoro e che accettano condizioni di vita disperate di cui dovrebbe occuparsi la Procura della Repubblica per lo sfruttamento di cui tutti sanno e conoscono, ma tacciono.
E ora l’incendio su quelle improbabili costruzioni di cartone, lamiera, plastica, materiali di tutti i tipi che non difendono dal freddo e che d’estate non riparano dal caldo.
Ma in fondo, cosa c’è di nuovo? Sono solo due ragazzi del Mali che sono morti dentro una specie di ghetto, lontani dalle città, così la gente non si turba.
Quando sono arrivati i vigili del fuoco, hanno visto quell’inferno privato fra le fiamme, hanno spento il rogo, portato via i due corpi senza vita e guardandosi intorno hanno visto che centinaia di persone, pardon, nordafricani, pardon, negri, che guardavano il ghetto con amore, come quella fosse stata davvero una casa, gli occhi fissi sul posto e le loro ferite sul volto. E le mille domande. Dove andremo, cosa faremo?
Molti di loro a incendio spento sono tornati “dentro”, stanno cercando di ricostruire le baracche: l’estate è vicina e i pomodori crescono in fretta. E’ quasi tempo di lavoro, sia mai che i pomodori rimangano a marcire a terra. Meglio farsi forza, altrimenti sono tanti, troppi gli italiani che li accuseranno di essere dei fannulloni, anche se lo dicono a sproposito in ogni occasione utile a demolirli.
Andreina Corso