Fare favori sarebbe stato l’unico “sistema che si doveva attuare per sopravvivere”. Sembra non vi fosse nessun altro modo per rimanere nel sistema delle gare d’appalto, ma “niente mazzette”, hanno dichiarato all’unanimità gli imprenditori Manuel Marcon, Roberto Unizzi e Andrea Caporello, sentiti nell’interrogatorio di giovedì durato tre ore a testa con il gip Lara Fortuna e la pm Federica Baccaglini.
I tre, accusati di associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta, in presenza dei loro avvocati Ernesto de Toni e Roberto Orfeo, avrebbero spiegato com’erano gestite le gare d’appalto, ma soprattutto come fosse considerato “normale” parteciparvi in questi termini.
“E’ un sistema usato per lavorare in determinati ambienti” spiega Marcon, poi tutti e tre hanno confessato: “Cercavamo più che altro di non pestarci i piedi. Ci si chiamava per capire chi partecipava alle varie gare a cui si era stati invitati. Una volta si ritirava uno, una volta l’altro. Si concorreva spesso per stare nel giro.”
Proprio per rimanerci, i tre avrebbero fatto dei favori ai funzionari. Ad incastrarli vi sarebbero alcune intercettazioni, ma gli imprenditori si difendono così: “Telefonare a loro era il modo di lavorare per ingraziarsi i funzionari e rimanere nella lista delle ditte da invitare agli appalti pubblici. I favori alla fine erano più utili a noi per non farci dimenticare.”
I tre avrebbero ammesso così l’accusa di turbativa d’asta, ma l’avvocato de Toni li difende dicendo “Non sapevano fosse reato. Partecipare e ritirarsi dalle gare, informarsi sull’andamento delle offerte erano comportamenti non percepiti come illeciti.”
Alice Bianco
[25/10/2013]
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