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Critica il critico, ovvero: siamo tutti critici

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E’ trascorsa quasi una settimana dall’inizio della Mostra del Cinema di Venezia e per chi ha la fortuna di frequentarla da dentro c’è l’esperienza di passare la maggior parte del tempo in coda.
File interminabili per accedere alle proiezioni delle pellicole in concorso e non, e quindi in quei momenti di attesa, si ha una sola cosa da fare: ascoltare (anche involontariamente) le discussioni dei compagni di ventura.

Questa è una della fasi più divertenti dell’avventura della Mostra, perché la fauna di critici e presunti tali si lascia andare a commenti e giudizi da intellettuali di ogni genere e colore.
Li senti lodare o stroncare una pellicola con termini e frasi che difficilmente troverebbero spazio sui giornali, in televisione o sul web.

L’apoteosi la raggiungono direttamente in sala, nelle proiezioni con presenza del cast, in quanto sui titoli di coda si lasciano andare proprio con applausi più o meno fragorosi mentre sottovoce li si può distintamente esporre il proprio disappunto.
Ventenni che vogliono dimostrare una conoscenza cinematografica degna di un Enrico Ghezzi, decantano pellicole mattone, quelle composte da due attori, con un’unica location e tre frasi. Durata minima centocinquantaminuti.
Vi trovano significati esistenziali e risposte al senso della vita, denigrano i film con un senso logico, lineare e soprattutto quelli americani. Si salvano solamente quelli indipendenti.

Poi si possono incrociare i critici vissuti, quelli che dal 1960 vagano per le sale alla ricerca di un Fellini o di un Bergman che non ci sono più.
Quelli che il cinema era meglio quando era peggio, che non è più quello di una volta e che ogni anno è sempre peggio.

Amano i film che raccontano qualcosa, magari di un’epoca che non c’è più e trovano le nuove generazioni di cineasti una manica di alternativi che nulla sanno inventare.
Una loro tipica affermazione è “Tutto quello che fanno è solamente copiare dai grandi, senza nemmeno reinventare… Antonioni o Bunuel lo hanno già fatto quarant’anni fa…”.

Non mancano quelli che fischiano ancor prima che il film cominci, che basano il proprio giudizio dal produttore. Negli anni scorsi la Medusa di Silvio Berlusconi veniva accolta da fischi e pernacchie.
Insomma, la politica per loro è sempre e comunque davanti al valore oggettivo del prodotto finale e la vedono ovunque. Anche nel colore della camicia di questo o quel personaggio.

I più simpatici sono quelli che “Se non c’è almeno una esplosione e tre morti non ne vale la pena…”, perché non nascondono la loro voglia di svago e di staccare il cervello per un paio d’ore.
A volte però celano la loro vera natura dietro a goffi tentativi di intellettualità, che ricordano quelli di Woody Allen al museo di “Manhattan”.

In tutto questo spesso immagino… immagino di afferrarne uno e di scuoterlo per il bavero della camicia, urlandogli “E allora prova tu a realizzarlo un film se ne sei capace!”.
Perché se è vero che il critico è colui che critica perché non è riuscito a realizzare nulla, François Truffaut ci ha anche brillantemente dimostrato il contrario.

I critici sono un po’ come le donne, non puoi vivere con loro ma non potresti senza di loro…

Mattia Cagalli

06/09/2015

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