Non è solo sensazione; è sulla pelle che lo si vive.
Si immagina un tempo ed un luogo remoto; la luce si diffonde intorno, la magia avvolge e travolge il visitatore che diviene anche attore oltreché spettatore, travolto dall’onda del sapere.
Questo è il padiglione dell’Egitto.Fantasia, tecnica, artificio, materia; ma anche semplicità delle forme, elementarità dei contenuti.
Non c’è parola che possa tradurre in lettere quanto è percepibile all’interno di un volume spoglio e bianco, in esterno come in interno.
Solo due le pareti rivestite di ruvida carta naturale che richiamano tinte e grana dei tessuti di lino del passato, “trasposti” in metallo mentre avvolgono la mummia che quasi viene avvolta dalle spire di un’onda dorata di lettere dell’alfabeto, di un regno glorioso nei secoli.
Parole piovono letteralmente dal cielo, sospese a fili intangibili ed invisibili, che costringono lo sguardo a vagare e a cogliere i riflessi variegati delle forme metalliche.
Un’onda, quella che pare sommergere l’incauto ed ignaro visitatore che, una volta varcata la soglia di ingresso ad un padiglione assai simile ad altri ad esso limitrofi, resta senza fiato. Le pupille si dilatano; risplende la luce del passato nel presente.
Rappresentazione artistica, ma anche architettonica e pittorica, quella in mostra.
La scrittura, che rende immortale anche il mortale nei secoli.
Architetti e scultori (Kamel Loqman, Hisham Alaa and artists Ayman Lotfy, Ahmed Refat, Niveen Farghaly, and Amer Abdelhakemrecently ) sotto la magistrale direzione del curatore, Ahmed Mito, hanno reso “corporea” la libertà di pensiero che è il comune desiderio di ogni uomo, in ogni tempo.
Testo, foto e grafica di Luisa Doriana Lombardo