Sì eccomi, lo schisoto, il pane… il primo prodotto dalla civiltà povera del primo novecento, dalle prime produzioni di grano tenero della bassa padovana.
Erano gli anni in cui si produceva solo il mais in quantità modeste, e della pellagra, la malattia della gente povera e malnutrita del fine ottocento poiché il grano tenero e il pane apparteneva alle famiglie più benestanti soprattutto dell’alta padovana.
Si giunge quindi alle produzioni di grano tra i piccoli agricoltori e inizia così la panificazione casalinga, dei primi pani poco lievitati e cotti sotto i “Testori”: un sistema di cottura realizzato sul piano dei focolari all’interno delle case costituito da un coperchio di latta o rame che copriva lo schisoto posto sul piano del focolare e ricoperto da braci fungendo così da forno primordiale.
“Schisoto” deriva da schiacciato perché poteva cuocersi meglio e stare sotto il “testo”; ingredienti: la farina, lo strutto che non mancava mai nelle case dove regnava la cultura del maiale, il sale, il lievito madre, la pasta del giorno prima e, per ognuna delle famiglie che lo produceva, veniva aggiunto qualche ingrediente segreto che ne conferiva la particolarità.
Anche nella nostra famiglia, nella nostra ricetta tramandata dal bisnonno Arturo e da nostro padre Antonio, ancora oggi usiamo un piccolo “tocco” che ne ha contraddistinto nel tempo il suo gusto particolare, perché per le cose buone ci vuole TEMPO.
Lo schisoto viene prodotto con varie farciture: la tradizionale è quella del prosciutto crudo dolce di Montagnana, ma può essere al naturale, con la pancetta, la zucca e la sopressa.