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La La Land, mancanza di eccesso di massimalismi

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Il film d’apertura della Mostra di Venezia 2016, La La Land, vince 7 Golden Globes

Questa volta mi permetto di aprire la mia recensione con una citazione di un altro critico, ben più autorevole di me, relativa a un suo commento su “La La Land”. Il critico è Paolo Mereghetti, appassionato spettatore di musical. Il mio intento non è affatto polemico; solo parto da un punto di vista altrui che mi serve per spiegare le mie ragioni sul perché il film di Chazelle non mi ha convinto.
“(…) Certo i due attori non ballano granché bene ma non sono più i tempi di Fred Astaire. Oggi i musical possono essere solo così” Più o meno questo il commento di Mereghetti, che valuta il film positivamente, a caldo, dopo la fortunata presentazione all’ultima mostra del cinema di Venezia.
I musical oggi non piacciono quasi più a nessuno; ed è un peccato perché condivido l’idea generale del critico milanese sul fatto che il musical è una delle manifestazioni più complete che il cinema possa darci. Però…

Però ogni decennio ha avuto i suoi musical, con canzoni, nei casi migliori, indimenticabili e con coreografie perfette ed eseguite magistralmente. Non occorre ritornare all’epoca d’oro di Busby Berkley, come nemmeno nelle delicatezze di un film mito come “Le parapluies de Cherbourg” di Demy, per trovare professionalità, stupore, realizzazione di quella dimensione sospesa di realtà che si frange con il canto e la danza.

Qualunque epoca abbia rappresentato e da qualunque epoca sia emerso ogni musical conteneva quel “momento miracoloso” che dalla prosaicità si trasferiva al sublime, estatico punto cruciale in cui si traslava lo status quo nell’epifania di un’orchesta che dal nulla cominciava a suonare e uno, due o più attori improvvisamente smettevano di fare quello che facevano nel modo “realistico” e ballavano e cantavano.

Ballavano e cantavano BENE.
Se non lo facevano subivano la perdita di qualche punto di credibilità; come Brando quando apre bocca e canta “A woman in love” in bulli e Pupe, sconcertando le sue ammiratrici con una voce chioccia e femminea.

Damien Chazelle sembra un ragazzo sofferente di autismo, uno per cui il suo punto di vista sulla realtà è già sufficientemente balzano; se oltretutto non sa rappresentare questa sua fantasia su successo, sliding doors, vecchi valori contro quelli nuovi in una maniera che non sublima l’assunto nei punti cruciali vuol dire che “La la land” è figlio responsabile di un’epoca in cui si vola basso.

Nonostante la vorticosità della messinscena e due attori eccellenti (la Stone conferma la sua ineccepibile bravura ed è dotata di grande appeal che la fa diventare bellissima anche in mezzo a donne più belle di lei) siamo in un’Arcadia in cui in fondo, un po’ ci si accontenta dei propri desideri, che non sono più maiuscoli, eccessivi ma subordinati ad una sensibilità egocentrica.

Non sono i massimalismi sul jazz (un jazz da cartone animato che nulla ha della reale storia di questa musica) a sconcertare; anzi, avrei auspicato un’esagerazione ancora più spinta sul contrasto tra il purismo Sebastian e la disponibilità a vivere il suo tempo, offra quel che offra, di Mia. Che poi, tra i due, il più “concreto” risulta essere Sebastian, detto per inciso….

Non si deve assistere a un trattato di estetica musicale. Ciò in cui pecca “La la land”, nonostante i continui cambi di scena e lo sfavillio dei colori è non in un eccesso di massimalismi (cialtroni, come avrebbe detto Labranca) ma in una mancanza di questo eccesso.

E, comunque, non ci sto ad accontentarmi di due ballerini mediocri; il film è zeppo di citazioni di altri musicals e di film (in primis “Gioventù Bruciata”); Sebastian e Mia si riparano nello stesso osservatorio in cui Dean, ribelle senza causa, perdeva la sua anima negli spazi sconfinati, sapendo che era destinato a qualcosa di più della vita normale. Mia e Sebastian scoprono di amarsi e volano nell’ ambiente dell’osservatorio. Ma, non capisco perché, questa scena, come tutte le altre in cui si canta e si balla, non contiene nulla di favoloso.

Per cui io, al contrario della recensione positiva e un po’ rassegnata di Mereghetti, dico: una prossima volta che esce un musical si prega di far fare qualche mese di più di training ai due protagonisti di questo piccolo sogno. Che comunque come attori, almeno, non han niente da imparare.


LA LA LAND
(id. 2016)
regia Damien Chazelle
con Emma Stone, Ryan Gosling, John Legend

Giovanni Natoli

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