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Giornata Internazionale delle Migrazioni, l’improbabile equazione venduta dall’UE

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I guadagni di profugopoli sulle spalle di immigrati e cittadini. Di Roberto Ciambetti

L’improbabile equazione venduta dall’UE con il Piano Investimenti Europa Africa. Una proposta per il ruolo dell’Italia.

Cinquanta miliardi di euro per ridurre le migrazioni dall’Africa. Questi i numeri del Piano per gli investimenti esterni dell’UE, lanciato al Summit tra Unione Africana ed Unione Europea di Abidjan: strumenti di garanzia e credito agevolato per 4,1 miliardi di euro, allo scopo di attirare capitali privati – 10 volte maggiori – per investimenti che possano creare impiego e frenare le migrazioni dal continente africano.

La società civile esclusa dal vertice ufficiale ne ha discusso alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (DGCS) del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), venerdì scorso, 15 dicembre, in un seminario con la società civile e rappresentanti del settore privato for profit.

Il seminario, promosso dalla DGCS, Concord Italia, Terra Nuova e FOCSIV, ha consentito un confronto critico sull’agenda e gli esiti del Summit di Abidjan. Un vertice la cui agenda iniziale, che vedeva i temi della creazione di lavoro per i giovani e degli investimenti esteri al centro della discussione, è stata condizionata dall’impatto avuto sull’opinione pubblica africana dal video della CNN che mostrava la vendita dei migranti come schiavi in Libia.

Nonostante ciò è stato confermato l’impegno politico dell’avvio del Piano europeo per gli investimenti in Africa. Un piano su cui vi è l’attenzione del MAECI, come evidenziato dal Vicedirettore generale della DGCS Luca Maestripieri, in particolare per promuovere investimenti nell’agricoltura sostenibile, riconoscendo un ruolo cruciale alle Ong che operano sul terreno con le associazioni contadine.

Su quale settore privato puntare per tali investimenti? Quali sistemi alimentari sono da sostenere per creare lavori e far fronte alle sfide demografiche dell’Africa? Quale potrà essere il ruolo dell’Italia e dell’Europa? Queste alcune delle domande sollevate durante il dibattito.

I numeri ci danno il senso della sfida: se già il 60% della popolazione africana è composta da giovani, le previsioni demografiche ci dicono che 22,5 milioni di nuovi lavoratori ogni anno saranno in cerca di lavoro, in particolare in Africa occidentale.

Durante il seminario Mamadou Cissokho, leader storico dei movimenti contadini africani e presidente onorario di ROPPA (rete che raggruppa 60 mila agricoltori familiari della regione), ha ricordato che: “i piccoli produttori sono responsabili per l’80% del cibo consumato nella regione e il 90% degli investimenti in agricoltura, assumendosi il 100% dei rischi. Se i fondi pubblici vengono utilizzati per ammortizzare i rischi bisognerebbe privilegiare loro, non le imprese multinazionali.

Occorre dare appoggio ai piccoli produttori – con un occhio di riguardo a giovani e donne – incentivare la trasformazione e il commercio sui mercati territoriali per dare slancio ad uno sviluppo endogeno senza il quale si provoca l’espulsione dei contadini”.
Orientamento corroborato dalle raccomandazioni politiche adottate dal Comitato di Sicurezza Alimentare Mondiale di cui l’Italia è co-presidente. È necessario allora investire verso “l’agro-ecologia, che è il sistema di produzione migliore per una agricoltura sana, rispettosa dell’ambiente e che valorizza le conoscenze e la popolazione locale, offrendo i migliori risultati per uno sviluppo umano integrale” come afferma Italo Rizzi di FOCSIV, la Federazione delle ONG di ispirazione cristiana.

Dalla discussione sono emersi alcuni punti essenziali su cui è stato registrato un generale consenso, rimarcati da Nora McKeon, di Terra Nuova, che ha curato le conclusioni dell’evento:
* il valore aggiunto dell’Italia con il suo patrimonio di cooperazione che privilegi progetti di investimento in piccole e medie imprese sostenibili, integrate nel territorio, basate sull’agricoltura contadina e legate a sistemi alimentari a filiera corta.
* L’Italia dovrebbe porsi come portabandiera in Europa di un’interpretazione di ‘settore privato’ e di investimenti realmente pertinente alle condizioni africane evitando che il Piano europeo per gli investimenti esterni si faccia schiacciare da un approccio finanziario a sostegno delle multinazionali dell’agribusiness.
* È necessario che sia garantita la governance democratica del Piano, la coerenza con i piani locali e nazionali di sviluppo, e una effettiva possibilità di controllo da parte delle comunità locali.

Il seminario infine si è chiuso con l’impegno della cooperazione italiana ad accogliere una proposta che venga dai contadini africani, avviando, come ha saputo fare in passato, un percorso di dialogo e di confronto che includa le ONG e il settore profit, mettendo al centro lo sviluppo della comunità locali e la creazione di lavoro dignitoso.

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