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Giambattista Piranesi dal nero della disperazione alla luce della cultura

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[12/09] E' stata inaugurata il 28 Agosto 2010 ( chiuderà  il 21 Novembre 2010 ) la Mostra : Le Arti di Piranesi. Architetto, incisore, antiquario, vedutista, designer.

Ideata dall'Arch. Michele De Lucchi e prodotta dalla Fondazione Giorgio Cini insieme a Factum Arte, il Laboratorio madrileno di Adam Lowe, è stata allestita al piano terra del Convitto in sezioni organizzate ed al piano del soppalco in una sezione dedicata al Piranesi vedutista, ove i luoghi descritti dall'Artista sono messi in contrapposizione con gli scatti inediti del fotografo e documentarista Gabriele Basilico che ha ripercorso tutti i luoghi delle vedute piranesiane.GIAMBATTISTA PIRANESI nasce a Mogliano (Venezia ) nel 1720 e muore a Roma nel 1778 – lasciando tracce durature della sua arte capaci di influenzare gran parte delle future ” invenzioni artistiche” che segneranno il cammino dell'Arte fino ai giorni nostri.

Dei circa mille fogli stampati del PIRANESI, di proprietà  della Fondazione Cini, ne sono stati selezionati più o meno trecento che hanno dato vita al “corpus” della Mostra, tra i quali figurano le celebri ” CARCERI D'INVENZIONE ” che tanta fama diedero al Maestro e ancor oggi meravigliano per la fantasia e la creatività  che propongono nonchè per quell'aura di mistero di cui sono imbevute, lasciando intendere la grande modernità  dell'opera incisoria del celebre veneziano, che sembra qui anticipare di oltre un secolo e mezzo molte delle intuizioni che daranno vita a quella che oggi si intende come Arte moderna.

Come accennato si entra nelle sale del Convitto al piano terra, ove l'Esposizione è stata brillantemente organizzata in varie sezioni, e qui si mostra alle pareti e su grandi tavoli l'insieme delle stampe e dei reperti antichi riprodotti, mentre in altri spazi si possono ammirare da vicino le “riproposizioni” in ready made [ realizzate in esclusiva per la mostra da Adam Lowe e dall'Atelier Factum Arte ] delle Sue invenzioni di designer e decoratore mai realizzate prima, nonchè alcune “ricreazioni” di pezzi originali, già  appartenuti alla Sua raccolta di antichità  destinata al mercato antiquario.

Si rimane affascinati non solo dalla ponderosità  dell'opera calcografica ma, soprattutto, dalla tecnica stupefacente, minuziosa quasi maniacale del segno grafico che dovette costare all'Autore tempi inimmaginabili di esecuzione e pecularietà  tecnologiche di primissima qualità  a mezzo delle quali potè dar vita a quelle visioni che lasciano stupefatti i fruitori odierni al pari, immaginiamo, di quelli che poterono ammirarle al tempo dell'esecuzione.

Vorrei soffermarmi, in primis, sull'emozione fornitami dalla visione dei fogli delle CARCERI in cui il canto poetico piranesiano ha profuso il meglio della sua immaginifica concezione di un mondo animistico in cui una realtà  visionaria, non riproponibile poichè priva di qualsiasi possibilità  edificabile, viene contaminata dal pensiero dell'Autore dando vita ad una proiezione onirica carica di sentimenti contrastanti che l'animo di ogni uomo alberga coscientemente o meno. In una grande torre semiovoidale, posta al centro delle sale, ideata da Michele De Lucchi, si assiste ad una proiezione in 3D con animazione digitale creata da Gregoire Dupond, ove ci si collega con la “mente nera di Piranesi”, così come la definiva la grande scrittrice Marguerite Yourcenar negli anni sessanta del secolo scorso, ricevendone una scossa emotiva, poichè è come entrare quasi fisicamente negli enormi spazi percependone gli effluvi malefici e sentendo sulla propria epidermide la “carezza” di venti infernali. Emozione che permette di captare a pieno la grande intuizione psichica dell'Autore.

Negli ampi “gironi” immaginati si muovono demoni, carnefici e larve umane che si trascinano senza una meta nei luoghi della detenzione alla improbabile ricerca di un riscatto che permetta loro di ascendere quelle enormi scale le quali promettono ( ma non sappiamo se in grado di mantenere ) di condurle ” a riveder le stelle ” di dantesca memoria, come il progetto dell'architetto fautore vorrebbe lasciar intendere con quel moto ascensionale che mostra i tristi reclusori sempre con una prospettiva dal basso verso l'alto, sola menzione di speranza per gli infelici che li abitano.

Comun denominatore di questa straordinaria serie delle CARCERI è il Nero, buio spirituale che avvolge il destino dell'Uomo, che si tradurrà  più tardi negli incubi notturni descritti da Odilon Redon e da Fussli, mentre precede il linguaggio aulico e l'allusione di Gustave Moreau.
E' la mente umana il vero prigioniero di questi luoghi detentivi e viene da percorrerli con lo sguardo per tentar d'incontrare i fantasmi che stanno ricercando il proprio senno perduto.

Ecco laggiù Orlando, dietro a quella colonna si nasconde il genio Van Gogh, più in là  scorgiamo il buon Ligabue e tanti, tanti altri che si son trovati presi dalla malia del “sogno” e che di quel sogno ci hanno dato prova a mezzo del loro dire espressivo troppo spesso contestualmente incompreso ma, in realtà , siamo tutti noi che tentiamo di liberarci dalle catene del buio dell'ignoranza, della consuetudine, del vuoto esistenziale che accompagna il percorso umano di molte delle genti le quali si trascinano “….. dal germe della culla, al verme dell'avello …… ” di shakespeariana memoria, senza aver goduto della luce della speranza.
Fu questo l'intento del grande Piranesi ? Lasciarci memoria del suo pensiero, della sua intuizione del vivere umano ? Non ci è dato di saperlo, ma ci piace immaginarlo poichè il suo tempo fu il tempo del viaggio verso l'Uomo, i suoi desideri, le sue passioni che poterono d'allora iniziare ad avere libera circolazione, fu il principio di un innovativo faticoso cammino che doveva portare l'Umanità  a raggiungere nuovi traguardi di libertà .
Il genio veneziano che voleva esser architetto fu, probabilmente, uno dei grandi pensatori del XVIII° secolo che intuì il futuro e volle descrivercelo mostrandoci il passato. Dal nero dei profondi pozzi stava nascendo la luce nuova del tempo a divenire, quei squarci aperti là  in alto erano la meta da raggiungere e per cui lottare.

Ma la Sua mente eclettica spaziava anche tra le rovine della Città  eterna e della Roma del suo tempo, nonchè della mitica Paestum e tutto ciò volle mostrarci con una serie straordinaria di incisioni che ci riportano strade e palazzi, rovine delle antiche costruzioni imperiali ancora pregne della grandezza di un popolo che amava l'arte tanto quanto il potere, e lo fece con un segno grafico arricchito da un gusto immaginifico che ha tradotto la realtà  in visione fantastica, al punto che le incantevoli, attente fotografie di Gabriele Basilico, che ha fermato con la sua tecnologia gli stessi luoghi piranesiani, mostrano una realtà  quasi priva di anima a comprova quale sia la differenza tra la scoppiettante fantasiosità  di un Genio e la fredda realtà  che il mezzo meccanico può catturare, ancorchè guidato dall'occhio esperto di un Maestro della fotografia, che nulla può aggiungere o levare al momento contestuale.

Piranesi ebbe in vita un grande sogno: diventare un grande architetto o meglio un “architetto veneziano” ma, fatta salva una commissione per la costruzione della Basilica di Santa Maria al Priorato in Roma ( l'unica realizzata ) dovette rincorrere tutta la vita questa chimera che nemmeno la Sua Città  natale gli diede come possibilità  espressiva. Forse fu questa la ragione per cui i suoi rapporti con Venezia furono sempre di un figlio verso una matrigna piuttosto che una madre, ciononostante firmò tutte le sue opere maggiori, orgogliosamente ” Architetto veneziano ” / ” Architectus Venetus ” quasi a sottolineare la sua appartenenza morale alla Città  anadiomene, suddito comunque fedele alla Repubblica Serenissima. Ciò ci procura un grande rimpianto poichè la conseguenza di tale stato di cose sfocia nella mancanza di qualsiasi opera del grande “vedutista” inerente alla Sua Città , privandoci così del piacere di leggere la Venezia del suo tempo come avrebbe potuto indagarla Lui stesso fornendoci, probabilmente, un'analisi personalissima della vita che si avviava a spegnersi nello ” Stato da Mar “più famoso dell'era moderna.

Della sua venezianità  ci rimane, tuttavia, oltre ad un progetto per una gondola da parata in puro stile rococò, il suo sentire l'arte da veneziano per quel saper “giocare” con la luce che si riscontra sempre innervata in tutte le sue composizioni, per quella visionarietà  “tiepolesca” escogitata p.e. nei quattro Grotteschi che mostrano sensibili analogie con gli Scherzi di fantasia del grande affreschista, genio del colore e della luce, senza dimenticare il gioco delle prospettive scenografiche del Canaletto con l'uso degli effetti di luce evidenziati dal contrasto con le ombre, per riscontrarlo, infine, con il Marco Ricci delle architetture e delle rovine.

Insomma di questo sommo artefice delle più belle incisioni del settecento, ma forse di tutti i tempi, non ci resta nulla di ” scritto ” che lo riconduca alla sua Terra, tutta la sua opera però è come intrisa di “sangue” veneziano come se durante l'intera sua vita il suo operare si fosse svolto all'ombra della Grande Madre lontana ed è con questo “sospetto” che mi piace ricordarlo ed amarlo, come il figliuol prodigo che in ogni momento possa apparire all'orizzonte della laguna per venire a realizzare, finalmente, il suo sogno di VENETUS ARCHITECTUS.

Per inoltrarsi nella poliedricità  di questo immenso Artista, invito gli amanti dell'Arte a visitare la Mostra ed alla lettura dell' esaustivo catalogo che l'accompagna edito da Marsilio.

A tutti rivolgo un arrivederci alla prossima Esposizione.

Venezia Settembre 2010

Giorgio Pilla – Critico d'Arte

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