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Giorno della Memoria. Di nome fa Maria, di cognome Turricelli

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Giorno della Memoria. Di nome fa Maria, di cognome Turricelli. Di A. Corso

Di nome fa Maria, di cognome Turricelli.
Chi è? E’ una signora ultranovantenne che vive in Via spalti a Mestre, nella Residenza dell’Antica scuola dei Battuti. Ricordarla, oggi, portarle un mazzo di fiori, è d’obbligo. Ne è convinta Rosanna Zanetti, presidente dell’ANPI, che ha partecipato all’incontro del Giovedì letterario e non solo, , che da anni il Sevizio Animazione offre ai suoi ospiti.

La biblioteca è stracolma per l’occasione, Maria Turricelli racconta, nonostante l’emozione, i suoi tre anni vissuti ad Auschetiz, guadagnati grazie al suo coraggio colpevole di aver voluto aiutare i partigiani.

Aveva solo diciassette Anni, Maria, ma la bicicletta la conduceva in un posto che lei sentiva giusto, non aveva paura Maria, sapeva di rischiare, ma la tensione umana ed ideale era forte, più forte di tutto e di tutti.

Sì- racconta- “ ero a Mestre, stavo portando il pranzo ad un gruppo di partigiani, ero in bicicletta, mi pareva di volare, quando i tedeschi e i fascisti mi hanno fermata. Mi hanno fatto un sacco di domande, ma io, zitta e ancora zitta, non ho detto niente. Mi hanno fatto scendere dalla bicicletta e hanno preso il sacco con il mangiare. Poi mi hanno ordinato di seguirli, io fremevo, sapevo che a casa mi aspettavano, ero in pena per mia madre, la mia famiglia, non sapevo cosa pensare.

Quei maledetti mi hanno portato alla stazione di Mestre, spinta dentro un vagone già carico di gente e poi hanno chiuso la porta, sogghignando. E’ a quel punto che ho capito cosa volesse dire odiare, mi sentivo distrutta, incapace di pensare. Non so dire quanto tempo sia passato prima di arrivare in quel lager, so solo che ci hanno fatto scendere dal treno e che mi hanno “gettata”, con i miei compagni di viaggio, dentro luride baracche di legno. Quel che è capitato dopo, non so più raccontarlo, ho fatto di tutto per dimenticare, senza successo. So che sono stati tre lunghi anni. Quel che so di certo, è che quel posto assomigliava all’inferno e ancora mi chiedo come mai sono ancora viva.

Ad un certo punto, mi ritrovo dentro un treno e dopo tante ore, scendo a Mestre. Raggiungo la strada in cui vive la mia famiglia, ma non suono subito alla porta di casa mia, vado da una vicina, che quando mi vede, scoppia a piangere e mi informa che i miei genitori erano disperati per non aver saputo più niente di me. Mi faccio coraggio e busso alla porta di casa mia. Mi apre mia madre, che appena mi vede, sviene”.

Maria è tosta, ce lo dice la sua storia, si rimbocca le maniche e ricomincia a vivere. Ma non le basta, deve raccontare ai giovani la sua esperienza, affinché quel che le è successo non accada più a nessuno e mai più. Le scuole la invitano e lei pazientemente e volentieri rimette in gioco la sua vita e racconta.

Ora vive nella Residenza ai Battuti, ancora sono in tanti a cercarla, a stringerle la mano.

Andreina Corso
29/01/2016

(foto: Maria Turricelli e Rossana Zanetti dell’A.N.P.I.)

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  1. Mio nonno è stato un partigiano che ha rischiato tante volte di morire a causa delle botte dei fascisti. Mio nonno conosceva Maria, erano amici. E’ morto l’anno scorso, ma ricordava sempre quella ragazzina coraggiosa che rischiava la vita per fare il suo dovere. E ci diceva che dovevamo imparare tutto da lei.

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