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Perché il declino economico italiano ed europeo è irreversibile

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Perché il declino economico italiano ed europeo è irreversibile

Perché il declino economico italiano ed europeo è irreversibile senza un riscatto sociale su base nazionale

Da quasi vent’anni ho sempre sostenuto che il futuro che ci attende è rappresentato da un degrado economico, politico, morale e intellettuale senza fine, venendo sovente accusato da amici, colleghi, partner di pessimismo, di disfattismo o di essere «negativo». Ora un numero crescente di persone inizia a darmi ragione, mentre gli oppositori non sanno più quale argomento inventare per giustificare la mancata «ripresa» e il fatto che i mercati «non tirano più».

Avete mai visto la «ripresa»? No! E statene certi: non la vedrete mai con alcun governo di nessuna nazione dell’Europa neo-liberale di oggi. Davanti a noi solo il baratro. Siamo agli inizi di un disastro epocale.

Perché una affermazione tanto radicale?

I grandi errori in estrema sintesi sono due: liberalizzazioni e deregolazioni. L’economia capitalistica non funziona sotto queste due queste condizioni. Si era già arenata dopo il 1929, si riprese grazie alla guerra e alle politiche economiche keynesiane basate su un forte intervento dello Stato nell’economia. E se oggi la società italiana e di molti altri Paesi «sta ancora insieme» è solo grazie al benessere accumulato dalle precedenti generazioni che hanno operato in altri tempi quando il fattore lavoro era adeguatamente retribuito (sotto forma di salari e pensioni).

Passiamo alle domande concrete. Cosa si deve fare per uscire dalla crisi? Riduzione del costo della politica, lotta all’evasione fiscale e maggiore efficienza dei mercati/imprese sono le grandi risposte che si sentono, ma sono solo le menzogne del potere.

Costo della politica? Che i parlamentari siano 1000, 500, 1500, pagati la metà o il doppio rispetto ad adesso, si tratta di risparmi o aumenti di spesa dell’ordine di alcune decine di milioni di Euro ogni anno, cifre insignificanti per il bilancio di uno Stato come l’Italia con 60 milioni di abitanti e con un PIL di 1.815.757 milioni di Dollari (2015).

Evasione fiscale? L’Italia è un Paese di evasori eppure per decenni si è sempre vissuto piuttosto bene. L’evasione stessa favoriva la domanda aggregata di beni e servizi e i condoni erano frequentissimi fino a una decina di anni fa.

Maggiore efficienza dei mercati e delle imprese? Benissimo, ma a chi si vende e cosa se stipendi e pensioni per comprare beni e servizi sono sempre più bassi?

Quali possono essere dei rimedi concreti per uscire dalla crisi (meglio cambio del tipo di economia)?

Nazionalizzazione dei settori pubblici nazionali e locali essenziali: ferrovie, poste, autostrade, elettricità, acqua, gas. Tali settori dovrebbero essere amministrati di enti pubblici economici con al vertice dei dirigenti che abbiano tre obiettivi: massimizzare l’occupazione, ridurre il prezzo dei servizi, generare un profitto onesto da reinvestire nell’ente. Questo aumenterebbe l’occupazione (e i redditi), eliminando il nutrimento dei parassiti sociali: ovverosia i dividenti delle S.p.a. che estraggono la ricchezza del popolo italiano/europeo per donarla ai grandi gruppi finanziari internazionali. Questa è il motivo per cui il grande capitale ha sempre spinto e corrotto i governi di tutto il mondo per impossessarsi di questi settori strategici.

Limitare la libera circolazione dei capitali in modo che le attività economiche rimangono in Italia/Europa al fine di favorire l’occupazione. Oggi si possono trasferire milioni di Euro in Cina, produrre là e poi rivendere i prodotti in Italia (generando un doppio drenaggio di ricchezza nazionale). Strettamente collegato a ciò è lo sviluppo di una politica finanziaria di tipo nazionale (con relativa moneta nazionale).

La chiusura all’immigrazione clandestina (che serve principalmente a creare masse di disperati da mettere in concorrenza con i lavoratori nazionali) sarà un altro elemento chiave. A ciò dovrebbe seguire l’eliminazione di tutto il business delle agenzie per il lavoro, l’aumento delle tutele in caso di licenziamento, riduzione dei contratti a termine/flessibili.

Infine, riforma completa del sistema scolastico: non più un business dell’istruzione con master e titoli a pagamento senza alcun valore reale, ma formazione seria e gratuita, meritocratica e di alto livello. Soprattutto un concetto deve essere chiaro: all’istruzione superiore accedono i capaci e meritevoli, non le masse di somari di oggi.

In quest’economia più chiusa, sarebbe molto più semplice promuovere la tutela del lavoro, ridurre gli orari, aumentare l’occupazione, difendere i salari e le pensioni (ma senza gli eccessi della scala mobile del passato).

Un partito con un’ideologia economica di questo genere verrebbe subito tacciato di razzismo, nazionalismo, fascismo da parte delle forze economiche dominanti. Eppure un movimento così, rappresentando l’unica alternativa credibile al degrado economico, politico e morale neo-liberale globale, sarà destinato ad avere sempre più consenso tra le masse di molti Paesi occidentali. Tale partito dovrà trovare alleati in altri Paesi europei e a livello internazionale. La Russia, ultima potenza non allineata con le élite mondiali, rappresenterà il naturale punto di riferimento per queste forze politiche (e già ora si vede questa tendenza). Anche per questo la Russia è un Paese tanto demonizzato dai giornali sul «libro paga» delle élite mondiali.

A quel punto, in un futuro non molto lontano ma che si riesce già a intravedere, si scontreranno sul campo due mondi: il degrado, il marciume, la dissoluzione neo-liberale globale e forze sociali e nazionali sicuramente più sane e fertili da un punto di vista ideale e materiale.

Non è escluso un conflitto armato interno in vari Paesi tra queste due forze e una sua estensione anche ad altre Nazioni all’interno di un contesto pericoloso per la pace e la stabilità mondiale.

Tuttavia, ad oggi una sola cosa è certa: il modello di sviluppo neo-liberale sta realizzando i seguenti risultati fallimentari:
1) le grandi liberalizzazioni economiche stanno distruggendo il nostro tessuto sociale e produttivo;
2) la libera circolazione dei capitali sta permettendo il ricatto della delocalizzazione e il drenaggio di enormi ricchezze,
3) il monetarismo sta distruggendo il benessere creato ai tempi dell’economia keynesiana;
4) la new economy dei prodotti e servizi inutili in economie sature e morenti non sta creando occupazione e redditi stabili;
5) la prevalenza della finanza sull’economia produttiva sta distruggendo la produzione reale;
6) la lotta al costo del lavoro, ridotto ormai a livelli di mera sussistenza, e alla stabilità occupazionale, sta distruggendo la vita di milioni di persone (e la loro capacità di spesa e risparmio);
7) il ceto medio sta scomparendo e si stanno creando delle potenti élite mondiali, nazionali e locali;
8) il tipo umano che cresce in questi ordinamenti è sempre più illusoriamente libero, ma fragile moralmente e intellettualmente, in quanto «allineato interiormente» con quella cultura della dissoluzione che è il vero DNA del liberalismo economico (nessun valore se non il proprio profitto).
Man mano che il benessere delle generazioni precedenti si ridurrà, la situazione esploderà in tutta la sua drammaticità. Ed è auspicabile che ciò accada il prima possibile, altrimenti il processo di dissoluzione ideale e materiale del nostro mondo potrebbe non essere più arrestabile.

Avv. Gianluca Teat

Autore del Breve manuale operativo in materia di licenziamenti, 2016, Key Editore
Coautore di Corte Costituzionale, Retribuzioni e Pensioni nella Crisi. La sentenza 30 aprile 2015, n. 70, 2015, Key Editore

Potete contattarmi via e-mail all’indirizzo avv.gianluca.teat@gmail.com oppure attraverso il mio profilo Facebook Avv. Gianluca Teat o visitare il mio sito internet http://licenziamentodimissioni.it/index.html

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