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Vizio di Forma, fallimento nemmeno onorevole per Paul Thomas Anderson

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film vizio di forma LARGE

Introdotto da locandine il cui look può far pensare al film d’esordio del regista, “Boogie Nights”, con accattivante grafica neon e il corpo snello di Katherine Waterston elettrizzato dall’iridescenza fucsia, ecco la nuova ultima fatica di Paul Thomas Anderson. Regista notevole ma talvolta pedante, reso celebre dall’altmaniano “Magnolia” (un Altman rivisto in salsa biblica).

Per la prima volta qualcuno si è arrischiato a mettere in scena un romanzo di Thomas Pynchon, uno dei massimi scrittori postmoderni americani. “Vizio di forma” è un pastiche linguistico che prende come alibi la formula del noir chandleriano. Così il film, ovviamente.

Trama (in breve, davvero in breve): detective fattone viene incaricato dalla sua ex di ritrovare il compagno scomparso, un magnate dell’edilizia, probabilmente scomparso a causa della moglie di questi e del relativo amante. Il detective fattone, di nome Doc Sportello, si infilerà in un impiccio dove Hell’s Angels, Nixon, medici compiacenti, un cartello di droga su una nave chiamata Golden Fang, un hippie sassofonista usato come spia suo malgrado sono i vari vertici di una girandola in cui a prenderle sarà spesso il castaway Sportello, ultimo baluardo di un’epoca di sogni in un gioco al massacro in cui la realtà smentisce tutte le utopie sessantottine (o precedenti il 68, dato che il movimento studentesco americano risale almeno al ’62). A fianco di Sportello, alter ego e nemesi, un poliziotto stile anni ’40, Bigfoot Bjornssn, con velleità d’attore, probabilmente criptogay, e un avvocato trafficone…

Vi fa pensare a qualche altro film? Beh non avete torto; se il film a cui state pensando è Il Grande Lebowski avete fatto centro. Anche se avete pensato allo straordinario “Il lungo addio” di Altman l’avete sfangata alla grande. Ma “Vizio di Forma” non si ferma solo a questo. All’interno abbiamo una possibile serie di rimandi che riguardano almeno “Il grande sonno” di Howard Hawks e la struttura lisergica di “Paura e delirio a Las Vegas” (da qui la presenza di Benicio Del Toro, avvocato trafficone). E comunque il film di Anderson ricorda molte altre cose, compresi i fallimentari deliri di film come “Candy e il suo pazzo mondo” e “Myra Breckinrdige” e tutta una filmografia camp tipica degli anni 60, in cui le mayor volevano fare le spiritosone con filmoni bizzarri dai cast giganteschi.

Dirò subito: non conosco il romanzo di Pynchon…

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