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Benedetto XVI: la Chiesa non puo' essere ridotta al solo aspetto terreno e organizzativo

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La Chiesa “non può essere ridotta al solo aspetto terreno e organizzativo”: è quanto afferma, fra le altre cose, papa Benedetto XVI, nel messaggio per la Settimana Liturgica nazionale, in corso a Trieste. E, allora, proviamo alla luce della Sacra Scrittura, del Magistero ecclesiastico e della Tradizione cristiana, di capire cos'è la Chiesa e cosa il Papa vuole comunicarci con quest'affermazione secondo la quale la Chiesa è anche gerarchica, sacramentale, dogmatica e canonica. Molti scrittori infatti da Augias a Odifreddi, da Pesce alla Zarri, da Mancuso a Rendina, forse, privilegiano il primo aspetto ma tenteremo di fare una sintesi che dimostra la fondatezza anche della tesi soprannaturale del mistero della Chiesa che non viene quasi mai recepita deformando una verità  religiosa fondamentale.

Gesù Cristo, come è noto, attribuì al primo dei suoi Apostoli, a Simone, figlio di Giona, dopo che questi, ispirato da Dio, alla inchiesta promossa da Gesù stesso, sulla strada di Cesarea di Filippo, per sapere che cosa si pensasse finalmente di Lui, rispose proclamando in un lampo di fede, di certezza interiore: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” ; e fu allora che Gesù gli replicò: “E Io ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra Io edificherò la mia Chiesa” (Mt 16, 13-20). Pietro: qual'è il reale significato di questo nome profetico, nome-promessa, nome- impegno, nome-programma, nome-carisma? Che cosa voleva dire Gesù con questo titolo, con questa definizione, che Egli imponeva all’umile suo seguace, al suo primo discepolo nel gruppo eletto dei dodici (sebbene fosse il terzo chiamato – Gv 1, 35 ss. – ), al pescatore di Galilea, che per seguire il misterioso maestro aveva lasciato ogni sua cosa? Gesù voleva dire: Tu sei sasso, roccia, base stabile e ferma, investita della capacità  e della fermezza di rendere perenne l’atto di fede, ora a Te ispirato dal Padre celeste e da Te affermato con assoluta sicurezza, al confronto delle molteplici e incerte opinioni, che la gente professa a mio riguardo. Il nuovo nome “Pietro” doveva significare chiarezza, fermezza, stabilità ; e voleva dire argine alla incredulità , alla volubilità , alla decadenza dottrinale, che la gente avrebbe nutrito a riguardo di Gesù; voleva poi dire sfida al tempo, alla storia, alla divorante variabilità  dei pensieri e delle cose umane; voleva dire fondamento forte e inamovibile d’un grande edificio, che in quel momento Gesù svelò essere suo proposito di costruire, la Chiesa, l’assemblea da Lui chiamata alla fede, all’unità , alla vita divina.

La fede ci aiuta ad operare. Essa ci traccia la via della vita; e c’infonde la forza per camminare su questa via. È la logica del nostro carattere cristiano. Qual è il grande peccato del cristianesimo moderno? È quello d’essere illogico, incoerente, infedele. La fede senza le opere! Qui un’analisi, anche sommaria, di questa incoerenza devastatrice della vita cristiana, esigerebbe un discorso troppo lungo, sui motivi e sulle forme di tale incoerenza (come un’erronea opinione teologica sull’inutilità  delle buone opere o un’acquiescenza all’interesse pratico, alla paura e all’intimidazione sociale, alle passioni che rifuggono dall’austerità  della croce, al costume vigente che coonesta spesso degradazioni morali, ecc.).

Ma vediamo, invece, il Vaticano II attraverso i suoi documenti cosa afferma a questo riguardo: “Compiuta l’opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra (cf. Gv 17, 4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa, e i credenti avessero così per Cristo accesso al Padre in un solo Spirito (cf. Ef 2, 18). Questi è lo Spirito che dà  la vita, è una sorgente di acqua zampillante fino alla vita eterna (cf. Gv 4, 14; 7, 38-39); per Lui il Padre ridà  la vita agli uomini, morti per il peccato, finché un giorno risusciterà  in Cristo i loro corpi mortali (cf. Rm 8, 10-11). Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cf. 1 Cor 3, 16; 6, 19), e in essi prega e rende testimonianza della loro adozione filiale (cf. Gal. 4, 6; Rm. 8, 15-16 e 26). Egli guida la Chiesa per tutta intera la verità  (cf. Gv 16, 13), la unifica nella comunione e nel ministero, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cf. Ef 4, 11-12; 1 Cor 12, 4; Gal 5, 22).”

La Chiesa, anche dopo la Pentecoste, è composta di uomini. Gli uomini di Chiesa non risplendono sempre e tutti di luce divina. Anche i più virtuosi, quelli che chiamiamo santi, hanno pure i loro difetti; anche molti santi sono naufraghi salvati, spesso drammaticamente, o mediante avventurose esperienze, e condotti alla riva della salvezza per misericordia divina, potremmo dire, in linguaggio profano, per caso fortunato. E per di più non pochi che si professano cristiani, veri cristiani non sono; e che sono ministri e maestri nella Chiesa, non confermano con l’esempio la loro funzione. Anzi la storia stessa della Chiesa (anche recente) ha lunghe e molte pagine poco edificanti.

La difficoltà  esiste, grave e complessa. Se ne scandalizzano, sia quelli che avversano la Chiesa, sia quelli che, in qualche modo, le sono fedeli. Dov’è questa bellezza della Chiesa? dov’è questa trasparenza della sua trascendente santità ? Non è autorizzato dalla natura stessa della Chiesa il ripudio delle sue strutture, delle sue forme istituzionali per dare preferenza, esclusiva e radicale per alcuni, ai soli valori spirituali ch’essa pretende di portare con sé? La difficoltà  esiste, ed esigerebbe lunga e ponderata risposta (Cfr. Y. Congar,Vraie et fausse réforme dans l’Eglise, Cerf 1968).

In un accenno limitiamoci a offrire una chiave di soluzione, ossia un’indicazione di metodo, o meglio, di stato d’animo. Ed è questa. “Vi sono – diceva Papa Montini – due atteggiamenti generali di spirito per giudicare la Chiesa: ostile il primo, amichevole il secondo. L’atteggiamento ostile, anche a prescindere da pregiudizi morali, è oggi molto diffuso, e quasi imposto dalla mentalità  laicista, profana, secolare. La quale può essere legittima nel campo suo (Cfr. Lumen Gentium, 36; Gaudium et Spes, 36), quando non si fa aprioristica e inibisce a se stessa la ricerca della verità , per qualsiasi campo in cui essa possa spaziare. Chi tiene aperta la mente, con coraggiosa onestà , presto o tardi, se Dio l’aiuta, vede, ad un dato momento, albeggiare davanti a sé una luce nuova, proprio quella luce che parte forse da una lampada vecchia e difettosa (Cfr. Gv 3, 21), e intravede nella Chiesa qualche cosa, forse non subito spiegabile, che non consente più un giudizio del tutto negativo e definitivo; forse anzi balena allo sguardo interiore il volto di un’umanità , vicina e quasi inavvertita, splendente d’una concezione ideale (Cfr. il capitolo 30, 1. 1, del De morihus Ecclesiae catholicae di S. Agostino; PL 32, 1336-1337).

E vi è l’atteggiamento amichevole. Il quale non è per ciò stesso ingenuo e adulatore. Resta obiettivo, anzi critico e, se occorre, severo. Ma filiale; cioè parte dall’amore, come quello di Cristo. Non è a priori orientato a cercare i difetti, a divulgarli di proposito, a limitarsi ad una funzione contestatrice e denigratrice (non vi sono oggi pubblicazioni, sedicenti cattoliche, che hanno fatto di tale ingrato mestiere il proprio programma?). «La carità  è . . . benigna – dice S. Paolo facendo l’apoteosi del primo fra i carismi – . . . non pensa male, non gode sopra l’iniquità », ecc (Cfr. 1 Cor. 13, 4 ss.). ” E poi, quella visione che Cristo ha della sua Chiesa si riferisce solo in parte, solo in fieri, alla nostra Chiesa pellegrina in questo mondo peccatore, solo agli innocenti, solo ai rivestiti di grazia, solo ai fedeli uniti a Cristo nell’Eucaristia (Cfr. S. Giovanni Crisostomo. Omelie. XX ). San Giovanni Crisostomo la definisce la “metropoli delle feste” (S. Giovanni Crisostomo: PG 50, 463). Grande perché inaugura la religione nuova, la religione dello Spirito, una nuova forma di rapporti fra la Divinità  e l’umanità , e grande perché è questa missione dello Spirito Santo che dà  vita alla Chiesa, al Corpo mistico di Cristo.

Non possiamo non menzionare la riflessione che Papa Benedetto XVI fa costantemente nelle sue Udienze Generali sempre molto affollate su la Parola che si fa Uomo, il Verbo che si fa carne, e prima di scomparire dalla breve scena della sua storia prodigiosa due cose ci lascia: la Chiesa e lo Spirito, che diventano l’anima d’una storia bivalente, la storia dell’umanità , riunita in assemblea, in Chiesa, in società  umana, non più suddivisa da luoghi e da tempi, ma una, unica, ed universale, un corpo solo composto da tutti gli uomini che hanno la fortuna di parteciparvi, la Chiesa, riunita, dicevamo, ed aggiungiamo, animata; animata sì, dallo Spirito Santo, Dio-Amore, e vivificante il Corpo della Chiesa, ch’è il Corpo mistico di Cristo; il «Christus totus», come diceva S. Agostino, e che siamo noi, in via di questa con vivificazione con Cristo che durerà  non solo oltre la nostra morte corporale,ma poi per sempre.
Ma l’unità  soprattutto; tanto che Gesù stesso ammette come possibile l’esclusione dalla comunione fraterna di colui che dopo ripetuti richiami se ne fosse dimostrato refrattario (Mt 18, 15-17).

Ci limitiamo adesso ad accennare semplicemente alle più elementari nozioni che ci danno un concetto descrittivo di ciò che la Chiesa è per avvalorare la frase iniziale di papa Benedetto XVI. E anche questo non è un compito facile. Il Concilio stesso, si direbbe, rinuncia a darci un elenco completo dei termini con i quali la Chiesa è designata nel comune linguaggio religioso. Le immagini si moltiplicano per provocare in noi un qualche concetto di quella immensa visione evangelica del Regno di Dio, nella quale è figurata, ma non solo essa, la Chiesa. Il Concilio accenna alla figura dell’ovile, di cui Cristo è pastore; accenna a quella di campo di Dio, a quella di edificio di Dio, a quella di famiglia di Dio, a quella di tempio di Dio e perfino a quella di Sposa di Cristo, e a quella finalmente di corpo mistico di Cristo (Lumen Gentium, 6 et 7). E qui viene propizio per la nostra mente il concetto essenzialmente complementare dell’animazione di questo corpo, concetto questo riferito alla Chiesa; essa è certamente un corpo sociale, umano, una comunità  di uomini, ma non solo questo; essa è un corpo vivo, animato da una Presenza, da Un’Energia, da una Luce, da un’Attività , ch’è appunto lo Spirito di Cristo (Cfr. Rm 8, 11; 2 Cor. 12, 9; da ricordare sempre per la nostra cultura religiosa: PII XII Mystici Corporis, 1943 e i documenti del Concilio. Così: H. De Lubac, Méditations sur l’Eglise, 1; J. Hamer, L’Eglise est une Communion). Diciamo questo affinché si accenda, si perfezioni in tutti noi questo vero concetto di Chiesa, il quale appena enunciato deve trasformare la nostra mentalità  di credenti, di fedeli, che tanto laicismo, tanto materialismo, tanto relativismo dei nostri giorni minaccia di oscurare e di privare d’un suo elemento componente della massima importanza. E cioè: la conoscenza di noi stessi, l’eterno problema del pensiero umano: «conosci te stesso», si complica di una straordinaria novità , introdotta nel nostro essere, già  per se stesso così misterioso, e la novità  è appunto lo Spirito Santo, il Quale viene ad abitare in noi. «Non sapete – scrive San Paolo ai Corinti -, non sapete che voi siete tempio di Dio, e che lo Spirito di Dio abita dentro di voi?» (1 Cor. 3, 16). Ma osserviamo bene il risultato di questa ospitalità , che ci offre la fortuna di ospitare lo Spirito Santo dentro di noi: la fortuna è simile a quella di un lume acceso in una stanza oscura; nulla è alterato, né toccato, ma tutto acquista una figura, una posizione, una funzione, un nome; tutto diventa chiaro e letificante. È il mistero della grazia, è il mistero della Chiesa, ch’è sorgente di Luce; la Luce divina dello Spirito riverberante con sette raggi, i doni dello Spirito Santo, fasci di intelligenza, fasci di amore nell’umile cella dell’umana, sia pure infantile o primitiva, psicologia. Non è facile a dirsi; forse è più facile ad averne qualche esperienza, anche nella vita modesta e comune del fedele cristiano. E tutti a questa privilegiata condizione di vita dobbiamo aspirare col proposito che ognuno deve fare per sé, quello di vivere sempre in grazia di Dio. Al quale un altro dovremo aggiungere: un culto superiore e ardente allo Spirito Santo, ch’Egli stesso alimenterà , se noi ricorderemo l’esortazione Paolina: «Non spegnete lo Spirito!» (1 Tess. 5, 15).

Alberto Giannino
(*) Presidente Ass. culturale docenti cattolici

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