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All is Lost, recensione: Redford in balia delle onde. Di Alice Bianco

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all is lost robert redford

Un uomo comune, uno sconosciuto, costretto a subire la forza dell’acqua, degli eventi atmosferici e di Madre Natura. Questo in breve il tema affrontato da All is Lost, la pellicola indipendente di J. C. Chandor, che ha destato stupore e meravigliato il pubblico del Festival di Cannes 2013.

Un uomo (Robert Redford) naviga con la sua piccola imbarcazione, la Virginia Jean, nell’Oceano Indiano, vicino a Sumatra, quando la barca viene colpita da un container alla deriva. Formatasi una falla, cercherà di ripararla e liberare lo scafo, ma una volta aggiustato il danno, riprendere la navigazione non sembra così facile, una tempesta è in agguato e cercherà in tutti i modi di sopravvivere ad essa e alla vastità dell’oceano.

Sopravvivenza appunto, ed insieme resistenza, voglia di non arrendersi e volontà di ingegnarsi per poter salvare la pelle, è questo il clima di tensione ed emozione che sprigiona All is Lost, una pellicola che somma avventura e bellezza della natura, in un dipinto selvaggio, con un perfetto protagonista come Robert Redford.

La vera chiave del successo del film è proprio l’unico attore presente, che per circa due ore, nel silenzio e in balia delle onde, non perde quasi mai la calma e dimostra che nonostante l’età, la forza e la volontà di vivere, rimangono una sua costante.

Contrariamente all’acclamato capolavoro, Vita di Pi (2012) di Ang Lee, l’opera di Chandor non ammette perciò, aiuto di alcun genere, anzi, lo allontana da quell’uomo disperso in mezzo all’oceano.

La catastrofe infatti è sempre dietro l’angolo e per lo spettatore è facile entrare in empatia con il protagonista, che non emettendo alcun suono, riesce comunque a trasmettere un turbine di emozioni: dall’apparente stato di calma alla preoccupazione del mare in tempesta, dalla coscienziosità ed ingegno a quella parolaccia urlata al cielo e a se stesso, attestazione del limite massimo di sopportazione.

Inquadrature soggettive mozzafiato e primi piani del protagonista, che si contrappongono ai campi lunghi a pelo d’acqua, si dimostrano inoltre dei perfetti strumenti per creare la giusta tensione e soddisfare le aspettative del pubblico.

Inno alla vita, al provarci sempre, allo sperare e al pensare positivamente, All is Lost, come Gravity di Alfonso Cuaròn, si rivela una delle pellicole più inusuali e distaccate di quest’anno, che rispetto alla corrente mainstream del cinema di oggi, si delinea come una delle poche possibilità di vivere un’avventura tra la natura selvaggia ed incontaminata, dimostrando che ancora una volta l’uomo deve continuamente lottare per affermare la propria esistenza.

Alice Bianco
[03/02/2014]

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