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Ansie e nevrosi al supermercato. Serviamo il n. 39. Di Cesare Colonnese

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supermercato coda alle casse per pagare

Carissimi Amici,
giorni fa’ in un supermercato ho preso il numerino e mi son messo vicino al banco ad aspettare il mio turno. Come accade quasi ogni giorno ad ognuno di noi.
Poco piu’ in la’ un tabellone digitale lento e una voce degna di uno studio televisivo annunciavano il momento in cui avrebbero servito me.
Gastronomia, serviamo il numero 35! Insomma, una volta preso il tuo numero aspetti che quei minuti interminabili passino e affettino il prosciutto per te.
Mentre sei in attesa pensi che quasi quasi val la pena, nel frattempo, di comperare le altre cose, ma poi, chissa’ perche’, non riesci a spostarti dal bancone dei salumi, quasi avessi paura che lo portassero via o come se il tuo timore, malgrado il numero, fosse quello di perdere il posto. Come capita quando chiami le compagnie telefoniche: rimanga in linea prego, per non perdere la priorita’ acquisita. E ti lascian la’ mezz’ora.

Cosi’ finisce che aspetti li’ davanti, come un baccala’ e quando arriva quasi il tuo turno, trovi immancabilmente quella che deve comperare dieci affettati diversi e di tutti un etto. ” Sta grassona, non ha neancora finito!”
Si, perche’ tu odi profondamente chi sta prima di te. Lo senti padrone del tuo tempo… “Così grassa, pure la mortadella si compra!”
Oppure, ancor peggio, trovi quella che non ha impegni e ha solo tempo da buttar via. “Mi tagli una fetta di prosciutto non troppo grossa e non troppo sottile. Quella dell’altro giorno non andava bene, era troppo grossa, quella del giorno prima non andava bene lo stesso, era troppo sottile”.
Ecco, quella sara’ la cliente per cui la fetta di prosciutto sara’ sempre troppo grossa o troppo sottile e se ne uscira’ sempre scontenta.
Ci vorrebbe un percorso di analisi piu’ che una spesa al supermercato.

Ricordo, quando facevo il visagista con Diego Dalla Palma, a Milano veniva una cliente quasi ogni giorno. Una Signora perbene, tutta ingioiellata e “impongada”.
Oramai era nota per le sue richieste particolari, voleva semrpe ed esclusivamente quel che non c’era. Un giorno tocco’ a me.
“Vorrei un rossetto rosso ciliegia. Io presi quattro toni di rosso e glieli proposi. Ovviamente, lei rispose che non erano i toni ciliegia che desiderava lei. Alche’ io sorrisi e dissi: “Signora, ma lo sa’ quante ciliegie ci sono al mondo?” Non e’ importante il tono della ciliegia, e’ importante l’albero che le indossa e lei Signora, stara’ bene con qualsiasi tono di rosso ciliegia, perche’ e’ una gran bella donna. Li compro’ tutti ed usci’ felice.

Superato l’esaustante momento di attesa, arriva il turno tuo. 39. Un attimo solo, dice la commessa che do’ il pane a chi deve prendere solo il pane.
Te pareva? “Qualcuno deve predere solo il pane?” Dieci mani si alzano. E tu diventi improvvisamente viola in volto perche’ ti sembra impossibile. Qualcuno piu’ sensibile forse si accorgera’ del tuo cambiamento di colore e pensera’ che tu sia in preda a un attacco cardiaco. Ma ti pare impossibile, che la sorte sia sempre contro di te, anche nelle piccole cose.
L’unica cosa che potrebbe giustificare questo momento, sarebbe l’uscita di quattro o cinque amici con in mano un cartello con scritto sei su scherzi a parte. Invece no, e’ la vita che e’ cosi, scherza, si prende gioco di noi che spesso dovremmo prendercela meno per le cose futili come questa ed essere piu’ ironici e sorridere.

L’ironia aiuta a superare le difficolta’ piccole e, credetemi, anche quelle piu’ grandi. Un uomo che non sa’ sorridere di fronte agli eventi e’ un uomo che sara’ sempre infelice. Alle volte mi trovo di fronte a persone che non hanno il senso dell’ironia e me ne accorgo subito. Hanno un espressione statica, distaccata, non cambiano mai. Sembrano fotocopiati. Sembrano una tac. Sembrano vivere altrove. Quando dici qualcosa di divertente e tutti scoppiano a ridere, loro non ridono mai, anzi, ti guardano con aria inebetita e quasi schifata. Non sorridono, non applaudono.
Il loro motto e’: NON. Ridono solo delle battute che fan loro, ma ridon da soli perche’ nessuno li capisce. Bevono solo acqua e mangiano cose lesse condite con un filo di olio di oliva e niente sale.

Chissa’ perche’ alle volte, pare che le piccole difficolta’ della giornata si mettan contro di noi per renderci i giorni piu’ complicati.
Finalmente hai il tuo cestino con tutte le cose che volevi comprare tra le mani e ti avvicini alla cassa. Anzi, ti avvicini alle casse. Sono sei. Ma come in ogni supermercato che si rispetti, quattro casse sono chiuse e due sono le code senza fine. A un certo punto la coda si sdoppia. Sono i furbi, quelli che cercano di intrufolarsi abusivamente che affiancano gli altri per creare confusione con la speranza di passar avanti a qualcuno e di farla franca. Alla cassa due cassiere, da una parte una pettinatissima e truccatissima con le unghie french lunghe tre centimetri, dall’altra una spettinatissima, niente trucco e unghie mordicchiate. Chissa’ chi delle due sara’ la piu’ veloce, ti chiedi. Vanno a rilento, entrambe. Devon aver fatto un corso speciale, perche’ non e’ possibile, non guardano mai la fila, come se la cosa non le appartenesse, come se lavorassero da un’altra parte.

Gli ultimi tre clienti prima di te e poi sei arrivato al traguardo. “Signore, ma lei non ha pesato niente di queste cose, se non le pesa io non gliele posso battere in cassa”. Sorry? Risponde il cliente cinese.
“Peso, balance, bilancia, ti ga da pesarmìe” risponde la commessa in dieci lingue diverse tra cui il Castellano ( di Castello, Venezia, Italia, Europa).
Il cliente prende i sacchettini e si avvia non sa’ nemmeno lui dove perche’ non conosce il supermercato e non ricorda la strada per raggiungere il reparto ortofrutta. Poi e’ abituato a muoversi solo col gps e in questo momento ha le batterie scariche.

La cassiera intanto guarda nel vuoto, tassativamente dinanzi a sè e verso l’alto, per non dar troppa confidenza alla gente, per non accendere gli animi, per non compromettersi. Comunque se non guarda in alto, guarda dalla parte opposta della coda, sempre!
Intanto approfitta per fare due minuti di relax.
Finalmente il cliente arriva con la merce pesata. Sfodera una carta di credito, la consegna alla cassiera e tutto si conclude così. Ultima cliente e poi tocca a te, pensi.

E’ una donna con lunghe gonne e con dei grigi cappelli raccolti e annodati in un foulard colorato avvolto in testa. Mette i prodotti da comprare sul tapis rouland e poi pian piano finche’ la cassiera ultima le battute, mette tutto confusamente in una borsa di stoffa che estrae da sotto le gonne. Pero’, molto ecologica la gitana, pensi tu. “Nove euro e sessantacinque centesimi dice la cassiera.
“La Signora così estrae non si capisce bene da dove un pugno di monete da due, cinque, dieci centestimi e li rovescia davanti alla cassiera. Tu sudi freddo e in quel momento senti che stai per svenire. Per fortuna, poco piu’ in la, una ragazza ha in braccio un bambino che strilla perche’ vuole la cioccolata. Quel bambino ti salvera’la vita.

L’urlo ti distrae e richiama la tua attenzione. “Non si puo’ mangiare troppa cioccolata, fa la bua al pancino” Esclami tu mentre il bambino guardandoti pensera’: ma perche’ sto ciccione non si fa i fatti suoi?
Effettivamente, come dargli torto. Provate a pensare voi, se mentre state per comperare qualcosa di succulento in supermercato ve lo togliessero dalle mani dicendovi che vi fa male al pancino. Non deve essere del tutto piacevole.
Poi il fatto della cioccolata che fa la bua al pancino non l’ho mai digerita. Potevan essere piu’ sinceri anche con noi quando eravamo bambini e dirci che in verita’, la cioccolata faceva la bua, ma solo al taccuino!

Un “calderino” a Tutti
dal Vs.Cesare Colonnese

23/09/2014

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5 persone hanno commentato. La discussione è aperta...

  1. Bella questa cronaca lieve e insieme grave di un evento quotidiano.
    Credo che siamo in tanti a riconoscerci in queste situazioni.
    Sarebbe interessante capire se siamo quelli che vivono l’imbarazzo, che lo subisono, o se siamo invece”gli altri” che lo provocano.
    Spesso rifletto sul sostantivo “gente” e non so capire quanto io sia dentro questa parola o questa parola in me.
    L’articolo di Cesare Colonnese ha proprio questo merito: il metterci a nudo di fronte alle nostre insicurezze, alla nostra prepotenza, all’ignavia e alla generosità.
    Come dire: non siamo tutti un po’ questo e un po’ quello?
    E la percezione che noi abbiamo degli “altri”, è simile a quella che “gli altri” hanno di noi?
    Grazie per aver stimolato questo eterno interrogativo.

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